mercoledì 28 maggio 2014

Il format politico di Matteo Renzi

Dovrebbe risultare evidente che il successo di Renzi alle ultime elezioni consiste nell’aver messo in piedi l’unico format politico in grado di battere Grillo e di convogliare in un progetto politico dai confini per ora abbastanza incerti le spinte populiste conseguenti alla crisi economica più importante dal secondo dopoguerra. Renzi è riuscito a surfare sull’onda del senso comune, identificandosi in maniera perfetta con quello che la maggior parte delle persone pensano oggi in Italia. Le caratteristiche principali del format politico-comunicativo che sta andando per la maggiore nel nostro paese sono abbastanza note: l’amore per la velocità e il decisionismo; l’insofferenza verso la burocrazia, i rituali e i privilegi della vecchia politica, gli intellettuali, le auto blu. Renzi ha saputo proporsi come leader “generalista”: non come uomo di parte, ma come everyday man – uomo ordinario. Come aveva visto Tocqueville, le democrazie sono i regimi dell’uomo medio, non degli eroi. In questo senso il nostro ricorda i personaggi di “un posto al sole” in cui è molto facile identificarsi in quanto rappresentano tipi umani con cui l’immedesimazione risulta spontanea.
È vero: la politica non è esclusivamente comunicazione ma anche riflesso degli interessi materiali. Sta di fatto che anche questi interessi devono essere organizzati ed espressi e quindi la comunicazione conta. Se n’era accorto già Gramsci quando parlava di egemonia. E come è riuscito a conquistare l’egemonia nella comunicazione politica Renzi? Nella comunicazione – come nella vita – molto spesso quello che fa la differenza sono le piccole cose. Baudelaire sosteneva che un bicchiere di vino aiuta a “rivestire gli antri più sordidi d’un lusso miracoloso”. Sono i dettagli che fanno il contesto comunicativo e che rimangono impressi nella memoria, individuale e collettiva. Chi critica con sufficienza la trovata degli ottanta euro tende a trascurare questo elemento. Non lo fece vent’anni fa Luigi Pintor quando dalle colonne de il Manifesto, all’indomani dell’elezione del primo governo Prodi, consigliò di celebrare la discontinuità politica ridipingendo gli ospedali, sull’esempio di quanto fece il premier laburista Atlee in Inghilterra nel primo dopoguerra. Il governo Prodi si guardò bene da fare alcunché di tutto questo e infatti è riuscito a farsi archiviare nella memoria di molti come una combriccola litigiosa e inconcludente. Certo, i piccoli interventi simbolici non riescono a sostituire i grandi progetti politici, ma li aiutano a calarsi nella vita delle persone. 
Il pericolo del format di Renzi non è quello della mancanza di concretezza. Casomai l’opposto. Essendo un format generalista, che deve piacere un po’ a tutti, il rischio è quello della mancanza di profondità. Nessun elemento caratterizzante viene sviluppato a pieno per non guastare l’armonia con il resto. Il rischio è quello di non assumere alcun profilo politico definito. Nel breve periodo trascorso dalla sua nascita questo ha pagato. Occorre vedere se sarà sufficiente in futuro, per attraversare il lungo di disoccupazione e stagnazione economica che ci si prospetta.