mercoledì 31 dicembre 2008

Buon Anno a tutti!


Un 2009 di gioia, fortuna e felicità a tutti !

martedì 23 dicembre 2008

Friends








Cari amici vicini e lontani,

queste sono alcune istantanee del dopocena, rossastre e alcoliche come i nostri discorsi. Mi dispiace solo di non averne prese altre, anche durante la cena: me culpa e di quelli che avevano il cellulare e non l'hanno usato. Grazie a tutti noi per aver partecipato a questo evento, che da solo giustifica l'esistenza del blog. Buon Natale e arrivederci per nuovi appuntamenti, reali e virtuali.

sabato 20 dicembre 2008

Gran Cena Di Classe - Anno 2008


Coloro che hanno aderito all'iniziativa

sono ufficialmente convocati all'eccezionale
evento dell'anno 2008,
la "Gran Cena Di Classe".

Essa si terrà martedi' 23 dicembre in località
Santa Maria del Giudice (LU) presso il ristorante
La Quercia, il ritrovo è in loco alle ore 20:30 .

Per nuove adesioni o eventuali defezioni
telefonare a Michele (3476204937) .

lunedì 8 dicembre 2008

God save the Suv!



«Contro la crisi scende in campo anche la Chiesa. Mentre l'America si interroga sul suo futuro economico e fa i conti con una delle crisi più gravi che abbia mai attraversato nel settore automobilistico, il reverendo Charles Ellis, organizza una predica incentrata sul piano di salvataggio. E così a Detroit sull'altare spuntano due grandi Suv. In platea i fedeli lavoratori di Ford e Gm che hanno pregato per salvare i loro posti di lavoro».

(da: http://www.repubblica.it/2006/05/gallerie/esteri/auto-preghiera/1.html)

mercoledì 26 novembre 2008

Thanksgiving


Domani è il giorno di Thanksgiving, in cui si celebra il giorno in cui, quattro secoli fa, i pellegrini del Mayflower approdarono sulle coste del Massachusetts e riuscirono a sopravvivere grazie all'aiuto di una tribù Iroquois che gli insegnò la coltivazione del mais, la caccia e la pesca. In segno di ringraziamento i pellegrini superstiti offrirono una cena al capo indiano e a 90 membri della sua tribù, a base di tacchino, mais, zucca e fagioli. Dopo che gli Stati Uniti sono divenuti una colonia indipendente, Giorgio Washington ha ufficializzato questa festa nazionale e la tradizione ha voluto che si festeggiasse con i medesimi cibi.
Ciò ovviamente non ha impedito che i rimanenti indiani fossero sterminati con meticolosità lungo tutta la storia americana.
In ogni caso, domani andremo a festeggiare a casa di mia zia Lucy e, se sopravviveremo alle sei ore di pranzo previste, forse faremo un giro fino al Massachusetts, essendo un fine settimana di ferie.
Happy Thanksgiving a tutti!

lunedì 24 novembre 2008

quote snai!

la cena di classe non è stata ancora organizzata.
si farà? e se si farà, quando? e dove?
intanto sono uscite le quotazioni snai sulle presenze alla cena:

vince 1,05
nassi 1,10
matte 1,15
ghila 1,15

sono quote relative ai "sicuri". e si riferiscono a coloro che ceneranno gratis. in quanto ideatori, promotori, relatori del blog avranno i posti in tribuna vip. ottimo vino, caffè, amaro e maiala.

malva 1,40
valeria 1,50
cane 1,75
elena 2,00

questi invece i commensali "possibili" e son quelli che avranno diritto a mangiare molto e a pagare poco. delegato ai conti sarà il sig. cane. il suddetto cane osserverà attentamente gli ordini dei "possibili" e poi procederà algebricamente alla seguente operazione: il listino X 1,41

claudio 3,00
iana 3,00
gave 3,50
antonella 4,00
jabo 4,25
maltinti 5,00

questi sono gli "outsider". la scommessa qui è più difficile, considerato che questi dovrebbero iniziare dal secondo e pagare il prezzo pieno. inoltre sono coloro che in caso di parcheggio difficile e pioggia avranno le chiavi, gli ombrelli, l'accendino, le sigarette, i fazzolettini e le big buble.

scara 10,00
cosimo 11,00
riccio 12,50
barta 14,00

sono gli "improbabili". se verranno prenderanno un caffè e senza salutarci ritorneranno nelle loro auto sulla via di casa. si tratta di coloro che almeno una volta (mi pare) si sono presentati e pertanto potrebbero ritornare. se dovessero venire, mi raccomando, salutateli come se niente fosse, perchè può succedere di dimenticarsi 19 volte degli amici.

calderini 50,00
galantini 55,00
pacciardi 60,00
salerno 70,00
pellerey 99,00

sono i "desaparecidos". nessuno li vede più da anni (2 di questi io li ho visti al mare e ve li raccomando) ma di colpo potrebbero rientrare al tavolo. in questo caso presentatevi educatamente come se fosse la prima volta che li vedete negli ultimi 20 anni.

ah il gioco!

è possibile giocare la schedina con le quotazioni inserendo nella matrice 5 nomi (uno per categoria) quindi: 1 sicuro, 1 possibile, 1 outsider, 1 improbabile, 1 desaparecido. chi dovesse azzeccare il quintetto tromba quelle du fie (dell'occhiello), chi ne prende 4 moltiplica l'ammontare per € 2,00 della giocata. in entrambi i casi pago io.

buon divertimento.

Un provinciale a New York


Chi si ricorda di questa vecchia favolosa commedia con Jack Lemmon? Mi sono trovato in una situazione molto simile, che vale la pena di essere raccontata.
Vediamo comunque di non prenderci troppo gusto: non è che io posso svenarmi per animare il Blog, né passare per un cretino totale. In ogni caso il "gufo" Matte ha colpito ancora (che il dio delle multe lo fulmini al più presto...)! Domenica scorsa abbiamo fatto una gita a NY per andare a visitare il Natural History Museum, vicino Central Park West dove abbiamo parcheggiato. Essendo domenica si poteva farlo e io per scrupolo ho chiesto anche ad un'auto della polizia conferma. L'unico problema è che non ho notato un idrante piccolissimo e grigio a poca distanza (meno di 3 feet, dice il codice stradale, ovvero circa un metro),sia perché faceva un freddo becco che non aiuta certo a ponderare con attenzione le situazioni, sia perché ero concentrato a trovare l'eventuale cartello di divieto di sosta. Non mi sono preoccupato invece del piccolo killer che giaceva nelle vicinanze (secondo me a un po' di più di un metro di distanza, ma tant'è: vallo a contestare alle sette la sera, quando abbiamo scoperto la multa, a meno cinque di temperatura).
Un ultima annotazione riguardo i commenti al post precedente: io sono dell'opinione che "Tribuna Politica" era una grandissima trasmissione di approfondimento se comparata alle risse televisive attuali e non avrei assolutamente in contrario se il Blog dovesse assomigliarvi.

venerdì 21 novembre 2008

Gerontocrazia


Meritocrazia: una parola che non ho mai amato e che continua a suscitarmi scetticismo. Mi è sempre sembrato un modo ipocrita di considerare eguali situazioni e persone che sono in realtà diseguali: il figlio di laureati che ha la casa piena di libri e quello che non ha nemmeno la casa; il pupillo della famiglia bene "allevato da cinque nurses di cinque paesi diversi" (Alberto Sordi, "I nuovi mostri") e quello cresciuto a pane e frittata dalla nonna. Come fanno ad avere le stesse possibilità di riuscire nella vita? Come si fa a considerarli corridori in una medesima pista agli stessi blocchi di partenza?
Eppure la realtà italiana riesce ancora ad offrirci qualcosa di peggio: la gerontocrazia. Che non è, badate bene, la saggezza al potere, come poteva essere il caso delle tribù indiane, in cui ai vecchi si chiedeva consiglio e si portava rispetto, perché molto sapevano e avevano vissuto. È qualcosa di diverso. È come se – per rimanere al paragone con la tribù indiana – i giovani fossero costretti a rimanere nel recinto a pulire il culo alle vacche, mentre i vecchi vanno sul campo di battaglia a mercanteggiare i posti di potere che poi, forse, quando i giovani saranno diventati maturi (leggi vecchi anche loro), potranno occupare.
C'è una famosa vignetta di Altan in cui un suo personaggio dice: "mi vengono in mente pensieri che non condivido". Che sia forse il caso della tanto odiata (perlomeno da me) "meritocrazia"? Ai commenti l'ardua sentenza.
Intanto vi sottopongo questo intervento sul tema di Giancarlo Bosetti, che personalmente mi tocca anche da vicino.



Un ultraottantenne come soluzione, sofferta ma infine accettata, di un problema politico non è in Italia una novità. Sergio Zavoli, classe 1923, designato presidente della Commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai, non ha l´aria di un caso isolato: presidenti della Repubblica e primi ministri, con un piccolo scarto di anni, sono in linea con la constatazione. Ciampi ha lasciato a 86 anni, Napolitano ha iniziato a 81, Prodi ha lasciato a 69 e Berlusconi ha compiuto i 72. È ovvio che la qualità della prestazione non ha relazioni dirette con l´età, così come nulla c´è da eccepire sulle doti professionali e sull´equilibrio del grande giornalista Zavoli (dal «processo alla tappa» alla presidenza Rai), che andrà ora a occupare un ruolo che ha il suo peso spropositato nei riti della politica italiana.
Il moto di scoramento è però difficile da trattenere di fronte alla evidenza di quel che è stato scritto in un celebre articolo di Gianluca Violante sul sito lavoce.info già due anni fa. Fatti due conti, l´autore concludeva: in Italia, quando la quasi totalità delle carriere lavorative si esaurisce, in politica si raggiunge l´apice. Come mai? Legittima, ma non dirimente, la preoccupazione che politici troppo vecchi non siano i migliori interpreti dell´innovazione, né i più adatti a captare esigenze nuove.
Più influente, sulla pulsione depressiva, la considerazione che l´anzianità del mondo politico è lo specchio dei vizi del mondo del lavoro: bassa mobilità sociale, avanzamento di carriera per anzianità e non per merito.
La differenza di età tra il presidente del Consiglio italiano e la media dei colleghi europei è di venti anni. L´elezione di Obama, 47 anni, ha soltanto incrementato i sintomi di abbattimento che ci attanagliavano già prima di lui e di Zavoli. È vero che nel lavoro a 65 anni scatta per lo più la regola della pensione e in politica no, ma è anche vero che i vizi che prolungano oltre le medie internazionali la percentuale dei vegliardi sono affini a quelli che mantengono in posizioni molto redditizie dirigenti e notabili di vario genere che non producono risultati proporzionati ai guadagni. Varie indagini statistiche mostrano che solo il 15 per cento della retribuzione di un dirigente d´azienda è collegata alla sua prestazione, il resto «è carriera», vale a dire, anzianità, buone relazioni, capacità di navigare con astuzia nella scia di un altro dirigente con anzianità, buone relazioni, capacità di navigare? Il rapporto col prodotto viene ultimo, come nel caso delle liquidazioni dei manager di Alitalia, Ferrovie dello Stato, in generale delle grandi aziende di servizio, anzi non viene mai, come per gli stipendi dei parlamentari la cui produttività non viene comparata con quella dei colleghi nel mondo (i congressmen guadagnano 36mila euro in meno all´anno).
Il libro recente di Roger Abravanel (Meritocrazia, Garzanti) ha dato ordine sistematico al tema. L´Italia è fuori dal circolo virtuoso del merito. Seguite la freccia benigna: tutti accettano la concorrenza, si fanno crescere le opportunità, si traggono benefici con consumi a basso costo, si rafforza la fiducia nel merito, cresce l´impegno a eccellere, i migliori salgono nella scala sociale, si crea leadership sicura di sé che promuove un contesto concorrenziale e nuova fiducia nel merito. Al contrario noi italiani siamo nel circolo vizioso del demerito. Seguite la freccia maligna: i giovani non si impegnano, si fa carriera per conoscenza e anzianità, si crea leadership anziana che opera per mantenere status, e si promuove così sfiducia nel merito. La recente indagine Luiss sulla classe dirigente, guidata da Carlo Carboni, aveva aggiunto un bel mattone all´edificio critico: la politica manda in parlamento sistematicamente figure di scarsa qualità e alta lealtà che tendono a mantenere lo status della leadership che li ha cooptati. Il merito resta fuori perché nel contesto politico italiano appare minaccioso: segreterie deboli, di sinistra, di destra e di centro, grazie a una legge elettorale costruita ad hoc, adottano schiere gregarie per non impensierire leader fragili. E i «leali» in esubero vengono sistemati in aziende regionali, comunali e simili, dovunque possibile, con un progressivo abbassamento della qualità manageriale.
Queste tendenze fanno dell´Italia un paese fortemente inegualitario in partenza (come l´America e l´Inghilterra) nel quale la bassa mobilità (come in Francia e Germania, che hanno però una più bassa ineguaglianza) tende a cronicizzare le distanze sociali (mentre in America la elevata mobilità rinnova un po´ di più le élite). Il risultato è la condizione in cui siamo. La nomina di un anziano fa risuonare sempre la stessa campana dal suono vellutato. Non stupisce che la reazione sia più un triste scuotimento di spalle che una rabbiosa reazione. Il circuito perverso ha lavorato in profondità: è più facile mettersi nella scia di qualche potere (un manager, un boss politico, un anziano) che tentare di aprire una nuova pista nella boscaglia a colpi di machete diventando eroi di se stessi.
La via d´uscita per i più coraggiosi è quella di andarsene. Un dolorosa classifica, che si aggiunge alle altre è quella prodotta dal think-tank Vision (Bocci, Maletta, Realino, Grillo): un formidabile indicatore delle prospettive di un paese e del suo sistema universitario è il numero di studenti stranieri che riceve. Gli Stati Uniti raccolgono circa un quarto dei 2 milioni e 700mila studenti che vanno all´estero, l´11 e il 10 per cento vanno in Inghilterra e Germania, la Francia il 9. L´Italia è l´unico paese sviluppato con un saldo negativo: sono 4mila in più quelli che se ne vanno. Che cosa significa? Che la via d´uscita dal circuito del demerito sempre più nostri giovani connazionali la vanno a cercare fuori. Dentro, non c´è partita.
GIANCARLO BOSETTI, da La Repubblica

mercoledì 19 novembre 2008

Greetings from Grant Park


So di ripetermi, ma non importa. Le grandi gioie esigono la ripetizione. Sono solo molto contento di soggiornare in un paese che ha questa first family. Certo, quello che succederà ora è tutt'altro che scontato. Non si vive di soli simboli, e Obama dovrà dimostrare di sbrigarsela in una situazione politica ed economica di rara difficoltà. Per adesso (non per molto ancora) godiamoci ancora questo momento di festa. Riporto qui un brano di un articolo di Renata Ingrao (una delle figlie di Pietro), dirigente di Legambiente. Nell'articolo riporta le sue emozioni di madre che ha adottato una bambina nera (ora dodicenne) di fronte all'evento dell'elezione.
Saluti a tutti.


Ho tifato Obama perché era un democratico nero candidato alla Casa Bianca e tanto mi è bastato. Ho tifato con il cuore ma anche con la testa, e con il cuore e con la testa ho capito, giorno dopo giorno, mese dopo mese, che lo straordinario "miracolo" che si è compiuto è stato possibile perché Obama ha sovvertito le regole del gioco, ha rotto gli steccati, ha rimescolato i ruoli, ha superato i conformismi, ha ridefinito le identità; e perché milioni di persone di fronte alle difficoltà crescenti della vita hanno avuto "l'audacia della speranza", hanno voluto lasciarsi alle spalle le gabbie del passato per guardare alle possibilità del futuro. Obama, la sua storia, la sua passione e intelligenza (che ho scoperto fra l'altro leggendo i suoi libri) rappresentano il miracolo della politica che torna ad avere valore, che consente la partecipazione a una comunità più ampia e rappresentativa delle singole individualità.
Il presente e il futuro oggi mi appaiono meno cupi. L'uomo più importante del mondo - simbolicamente e realmente - è un afroamericano, con la storia, le idee e i programmi di Obama. Mia figlia è sicuramente più forte e più protetta di ieri dai pericoli del razzismo.
Quest'estate siamo state a Parigi, la prima volta per lei, fresca di passaporto. Una città di cui si è innamorata. A colpirla positivamente, fra le tante cose, è stato vedere per le strade molte coppie miste, non solo fidanzati ma amici, colleghi, gruppi di persone di ogni parte del mondo, di ogni provenienza - africani, asiatici, europei, bianchi, neri e con tutte le sfumature, mescolati e non divisi per appartenenze ed etnie come succede da noi. Mi ha chiesto di venire a vivere a Parigi, le ho promesso che ci sarebbe potuta andare, appena finito il liceo. Chissà, forse, fra qualche anno avrà cambiato idea, in fondo ama molto il suo paese, in cui ha radici solide e profonde; o magari a cambiare sarà il clima delle nostre città, contagiato da una voglia di cambiamento tanto inattesa quanto potente, reso meno angusto e rivitalizzato dal vento americano. Come ci hanno insegnato gli Stati Uniti, molto dipende da noi.
P.S. A proposito di sit-com americane. Ce n'è una, molto divertente, Cory alla Casa Bianca , che mi capita di vedere con mia figlia, protagonista un simpatico adolescente nero, figlio di un cuoco diventato lo chef del Presidente, un Presidente naturalmente bianco, piuttosto sciroccato, con una figlia, una ragazzina dispettosa e abbastanza odiosetta. Adesso gli sceneggiatori della prossima sit-com sono più liberi, e per registi e attori d'ora in poi non c'è più niente di scontato nell'attribuire le parti.

martedì 18 novembre 2008

Cucù!

lunedì 17 novembre 2008

Bill


In attesa che il nostro Cecconetzer posti sulla sua amata Lazio, io continuo a scrivere ancora sulle mie esperienze di "ordinary life" negli States. È anche un modo per togliersi quel maledetto poster legista dai coglioni, tutte le volte che si apre il blog. Quella che qui vi inoltro al suo posto è la mia prima multa ("Bill" si dice da queste parti): credo che meriti di essere celebrata. Il fatto è che le autostrade americane (perlomeno quelle del New Jersey) sono semigratuite, e il pagamento funziona in maniera un pò artigianale: al casello se non si dispone dei tagliandi o del pass elettronico, ci sono delle specie di secchi conici in cui l'automobilista deve gettare in genere settanta centesimi di dollaro. Vada per il primo casello, vada per il secondo, al terzo l'automobilista oriundo (che sarei io) finisce gli spiccioli e comincia a buttarci di tutto: centesimi di euro, bottoni, mentine, funghetti di plastica della bambina, ecc. In genere non succede niente, talvolta si può venire fotografati. Così è stato il mio caso. L'intenzione non era quella di contravvenire, ma è stato una circostanza dettata dalla necessità. Ora ho la scelta di pagare, o farmi da due a cinque settimane di galera.
Ad maiora!

venerdì 7 novembre 2008

mercoledì 5 novembre 2008

Il figlio degli schiavi


Quando vedrete questo post, conoscerete già tutti il risultato delle elezioni. Io lo ho saputo prima di voi, ma mi sono dovuto tenere il risultato nel cuore, per così dire, in quanto non avevo accesso ad internet. In realta' non avevo nemmeno accesso alla televisione, in quanto abbiamo deciso di non fare l'abbonamento alla tv via cavo, essendo piuttosto costoso. Tuttavia ieri verso le otto e un quarto non ho resistito: sono uscito a comprare l'antenna! Ho pensato: non posso perdermi questa notte storica. E' così è stato: alle 11 spaccate ora della costa est (le 10 a Chicago, dove si trovava la nuova "first family", le 9 di sera a Memphis in Arizona, dove era McCain) si e' avuta la certezza definitiva: Barack Obama sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti.
Che dire? Molto e' stato detto, molto ancora si dirà. Gasparri pare si sia gia' espresso. La sensazione che ho avuto da qui è che questa vittoria era nell'aria, come il profumo della legna in autunno e quello dei fiori in primavera. Non posso certo dire di avere il polso della nazione (ho messo piede in appena due stati su 50 dell'Unione e per giunta stati storicamente "blu', ovvero democratici), ma a giudicare dal numero degli adesivi antiguerra attaccati vicino ai semafori, dalla sofferenza unita al desiderio di cambiamento espresso da tutte le persone con cui ho parlato, l'impressione era davvero di trovarsi di fronte ad un fenomeno "naturale": un invevitabile, inesorabile cambiamento di stagione.
Ieri sera non ho saputo trattenermi di fronte alle immagini dei "neri" festanti ad Harlem, davanti alle lacrime delle vecchiette afroamericane, molte delle quali da piccole non potevano neanche frequentare le stesse scuole dei bianchi. Quando la coloratissima, nuova "first family" e' salita sul palco di Chicago a salutare una folla sterminata, con le urla e le manifestazioni di gioia salivano al cielo, sembrava quasi di assistere alla più mielosa delle pubblicità di Benetton.
Esiste un'America che è impossibile non odiare: quella dell'imperialismo, della Baia dei Porci, del finanziamento ai Contras, dell'inutile massacro iracheno e di una serie lunghissima di porcate internazionali. E' la nazione dove ogni cittadino consuma più risorse naturali di cinque cinesi o dieci indiani messi assieme, dove trentotto milioni di persone non hanno l'assistenza sanitaria e una persona su cento si trova in prigione, come neanche a Cuba e in Iran. E' la presunta civiltà superiore che ha imposto al mondo intero il suo modello economico, con il titolo di Max Weber come etichetta: L'etica protestante e lo spirito del capitalismo. Salvo scoprire che l'etica protestante non vale per l'establishment di Wall Street, la razza predatrice al di sopra di tutte le regole. Ma e' anche il paese che possiede una carica vitale sconosciuta dalla maggior parte delle nazioni del mondo. Dove in maniera assolutamente inedita rispetto a gran parte dell'Europa e soprattutto alla stantia "gerontocrazia" (e "mignottocrazia", concedo) italiana, un giovanotto che e' nato appena nove anni prima di noi e che sembrava il fratello maggiore di Arnold è salito all'ufficio più elevato del paese.
Questa odiosa nazione ha mandato alla Casa Bianca il nipote di un capraio africano, la cui nonna paterna vive in un villaggio del Kenya e il fratellastro in una baraccopoli di Nairobi. In mezzo alla tempesta, nell'ora più buia, mentre le classi dirigenti del mondo intero brancolano alla ricerca di una soluzione alla grande crisi, gli Stati Uniti hanno avuto lo scatto decisivo, il coraggio di uno strappo inaudito: generazionale, culturale, etnico. Allora si scopre di nuovo l'America che ci è essenziale: l'America che non si può non amare.

lunedì 3 novembre 2008

- Cenone di Natale -




Io ci riprovo,


chiunque voglia partecipare alla "CENA" si rivolga a me:

3476204937


Mele propone martedì 23 dicembre, e voi?

comunicatemi al più presto le vostre idèe .



PS. la mia barca


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sabato 1 novembre 2008

sono soddisfatto!

sono soddisfatto della risposta di vincenzo e dei commenti correlati.
ma vedo anche, come supponevo, che non eravamo molto distanti.
ripeto: sono contrario ai tagli vs università. sono anche d'accordo (difficile non esserlo) con calamandrei (ah quanto ci sarebbe bisogno di uomini di quella fatta).
il fatto che si taglino soldi all'istruzione mentre si mantengano o aumentino alla difesa è vero... ma faccio lo stesso esempio della lettera precedente, parallelo italia-svezia: un paese che aumenta i finanziamenti all'istruzione decurtandone (se ne ha ancora) alla difesa non è l'Italia. non voglio dire non lo sarà. ma semplicemente che non lo è.
altrettanto vero è che si sono mantenuti in vita enti parastatali (iri e derivati); associazioni e fondazioni che non avevano interesse neppure nel momento in cui (1920,1930...) sono state costituite e fondate; società private o mezze private (fiat 1981, alitalia 2008) che invece secondo me non andavano curate. andavano seppellite. e velocemente.
emblematico il caso fiat 1981. ve lo ricordo perchè sicuramente lo conoscete già, ma io lo riassumo per come è andata, davvero, sempre secondo me:
l'azienda è in crisi.
il mercato non tira (chissà perchè?)
arrivano le mobilità, la cassaintegrazione, i licenziamenti.
i lavoratori scioperano per 40 giorni! dico 40 giorni (che tempi!)
l'azienda tiene duro.
i lavoratori tentennano (e che cazzo! 40 giorni!)
tavolo delle trattative azienda-sindacati.
il governo fa sapere attraverso i soliti giornali asserviti che la fiat non è una semplice azienda privata (ci mancava che ce lo ricordassero) ma è pomposamente un polmone di lavoro per migliaia di italiani.
il governo tutela l'azienda.
l'azienda, a partita finita, conclude il suo lavoro: manda a casa non so quanta gente. molte (quasi tutte, perchè avevano anche la lista) delle quali erano al picchetto fuori dal cancellone di mirafiori.
al telegiornale si cambia pagina (e magari si chiacchera del gol annullato a turone e della juventus che si piglia un altro scudetto)
e la fiat? che fa la fiat?
continua a vendere le proprie auto.
quali auto?
la duna, la arna, la ritmo cabrio...
ah, e quanto costano?
beh, costano parecchio.
si, ma quanto?
eh, più o meno quanto le succedanee francesi, tedesche...
ma come? le altre sono migliori!
EH, MA LA FIAT E' UN POLMONE DI LAVORO PER MIGLIAIA DI ITALIANI.
ecco. questo per dire che lo stato, il nostro stato è quello che se ne sbatte alla grande delle questioni serie: istruzione, sanità, pensioni, equo tasse, sicurezza sul lavoro.
il nostro stato, vigliaccamente, cura, rimedia, tampona i problemi della fiat. che lo ripeto, se falliva nel 1981 ce l'eravamo già levata dalle palle.
il nostro stato, vigliaccamente, si accapiglia per le questioni serie di istruzione, lavoro, pensioni, sanità esclusivamente dentro la cabina elettorale (era buona la canzone di bennato "eccoli i prestigiatori")
il nostro stato, vigliaccamente, esprime il proprio sdegno per le tragedie, il proprio cordoglio per le loro vittime e subito dopo apre un c/c alla televisione dove noi possiamo tranquillamente versare un euro o trovare un modo noi per aiutare gli sventurati.
il nostro stato, vigliaccamente, non riesce a dire un solo no a chi ci muove i fili dall'estero nel nome delle guerre preventive, dei ritorni alla democrazia (era buona la canzone di bennato "arrivano i buoni").
il nostro stato dice ni. sempre ni. solo ni. dal 1964 in poi. se non da prima.
e su questo spero siate d'accordo con me.

venerdì 31 ottobre 2008

Tremonti, Gelmini e i loro casini .



La legge di bilancio 133 "Tremonti"
, approvata in Agosto a colpi di fiducia, contiene misure in grado di decretare la morte dell'università pubblica.
Questo provvedimento colpisce il mondo universitario in tre modi:
-- con il taglio progressivo - circa 1 miliardo e mezzo in cinque anni - del Fondo di Finanziamento Ordinario, il denaro erogato annualmente dallo stato alle università, un fondo già assottigliato dalla legge 126, quella che ha tolto l'ICI sulla prima casa;
-- con la riduzione del turn over del personale, sia docente che tecnico-amministrativo, in ragione di una sola riassunzione per ogni cinque pensionamenti;
-- con la possibilità, praticamente obbligata, per le Università di trasformarsi in fondazioni, cioè di trasformarsi da strutture pubbliche in enti privati, ai quali verranno destinati i loro beni.
E tutto questo in un paese che dedica solo lo 0,9% del prodotto interno lordo all'università, una quota molto inferiore alla gran parte degli altri paesi europei.
Questi provvedimenti comporteranno una diminuzione del personale delle università, un progressivo ulteriore invecchiamento del personale docente con un peggioramento della didattica e della ricerca, la possibilità per le università, una volta diventati enti privati, di vendere i beni immobili (non più pubblici) per fare cassa, quella di aumentare le tasse universitarie. Per non parlare poi del conseguente impoverimento culturale che tutto questo comporterebbe.
In definitiva una radicale trasformazione dell'università pubblica, che tornerebbe ad essere appannaggio di pochi, di chi se la potrà permettere.

A questo si aggiunge il decreto Gelmini, convertito in legge il 29 ottobre, che peggiora sostanzialmente un segmento dell'istruzione che attualmente funziona bene, quello della scuola primaria: si ripristina il maestro unico per gli alunni delle elementari cui vengono affidati più bambini per classe, riducendo o eliminando del tutto il tempo pieno. A questo va aggiunto il licenziamento (in 3 anni) di 87 mila insegnanti e di 44 mila impiegati. Non ci saranno più insegnanti di sostegno per i bambini che ne hanno bisogno, mentre i maestri che rimarranno si troveranno a svolgere il loro lavoro di grande responsabilità con maggiori difficoltà.

La motivazione del "non ci sono più soldi" sono una patetica scusa: i governi hanno sempre trovato i soldi da dedicare alle spese militari o per sostenere le banche finite in bancarotta a causa delle loro stesse speculazioni. E per quanto giovane, questo movimento di persone che si oppongono alla privatizzazione della formazione pubblica ha capito la forte correlazione che lo lega al quadro più globale: noi la crisi non la paghiamo, uno slogan si è diffuso apparendo negli striscioni e nei cori in tutta italia.

La convergenza di questo genere di provvedimenti appare chiara e strategica: colpire il sistema di formazione pubblica perchè i nuovi giovani siano più ignoranti, d'altra parte un popolo meno istruito si governa più facilmente.



...da http://toscana.indymedia.org

giovedì 30 ottobre 2008

La scuola degli anni '50


Caro Cristiano, hai ragione: effettivamente la risposta che ti è stata data (se te ne è stata data alcuna) è piuttosto sbrigativa. Io credo che il tema "soldi", ovvero costi rappresentati dalla scuola come dal resto dei servizi sia un tema centrale. Come lo sia quello di restituire autorità alla scuola, anche attraverso i grembiulini (che io non disprezzo affatto). Il problema è che qui apertamente si vuole risparmiare e tagliare, travestendo il tutto da ritorno al buon tempo antico. Bada bene, questa è una tendenza che è vecchia quanto l'uomo stesso: quando ci si trova ad affrontare un presente che è arido e nemico, la mente e il cuore vanno sempre verso "l'eterno ieri", in cui le cose andavano meglio. Anche con questa tendenza non sono affatto in contrasto: a me gli occhi diventano sempre lucidi di fronte a qualsiasi frammento dell'Italia in "bianco e nero", così come ci viene, ad esempio, presentata dalla grande commedia all'italiana. E so che condividi questa passione con me.
Ma credo che il punto adesso sia un altro. Siamo veramente al "Mulino Bianco" neoliberista: nel senso che si accosta un banale taglio di bilancio, ispirato alla filosofia economica (il neoliberismo monetarista) che si è inabissata nelle recenti vicende di Wall Street, (io credo definitivamente, leggere un popolare magazine economico americano per credere: http://www.businessweek.com/magazine/toc/08_43/B4105magazine.htm)
alla foto in bianco e nero della buona scuola di una volta. Il ministro Gelmini in un momento di delirio di onnipotenza (ebrezza alcolica?) si è addirittura paragonata ad Obama! Proprio quando Michelle Obama, moglie del futuro (lo dico con i codiddetti in mano) presidente degli Stati Uniti esordiva ad ogni comizio (dico: ogni) dicendo: "io non sarei stata qui senza la scuola pubblica che c'era all'angolo della periferia di Chicago dove la mia famiglia viveva!". Un punto fondamentale della campagna presidenziale qui è la consapevolezza che il modello disimpegno dello Stato nell'istruzione è clamorosamente fallito.
Quanto avviene adesso in Italia è a mio avviso è inaccettabile. E lo era anche per quelli che vivevano prima del mitico '64 che tu affermi essere uno spartiacque nella storia (della decadenza) dell'educazione italiana: per questo voglio riportare qui (rischiando di farla troppo lunga, lo so) una testimonianza di Pietro Calamandrei, professore e politico antifascista del Partito d'Azione, pronunciata al III Congresso dell'Associazione a difesa della scuola nazionale (ADSN), a Roma, l'11 febbraio 1950.


Pietro Calamandrei
Facciamo l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l'aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito?
Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali.
C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino sotto il fascismo c'è stata. Allora, il partito dominante segue un'altra strada (è tutta un'ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A "quelle" scuole private.
Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio.
Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata.
Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private. Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere.
Attenzione, questa è la ricetta.
Bisogna tener d'occhio i cuochi di questa bassa cucina. L'operazione si fa in tre modi, ve l'ho già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico.

attendo risposta! ma un po' più articolata.

mi pare non sia stato afferrato il concetto di fondo: ho detto abbasso i tagli alla ricerca! viva i grembiulini etc..! ma se non si è tranquilli con un maestro solo se ne può tranquillamente mettere uno per scolaro, si possono fare corsi ad personam, si possono creare laboratori, iniziative, gite, forum, campi scuola, strutture sportive, ma... con i soldi di chi?
1) il paragone tra la vecchia scuola e la vecchia vita regge se si continua la proporzione.
se è vero che i grembiulini stanno alla famiglia del mulino bianco, a cosa stanno le autogestioni-occupazioni fatte ogni anno? a cosa stanno le proteste (per altro rimaste sulle intenzioni) studentesche?
2) mi si dice: attento 20 anni di tv berlusconiana ti rincoglioniscono, ti azzerano la coscienza! io la tv la guardo poco in generale, la fininvest praticamente mai. ma condivido il monito, che però rivolgo anche a voi
3) il nodo centrale è che si continua a pensare all'italia come al paese che si vorrebbe. non a quello che è. si fa affidamento sulla nostra presunta civiltà, manco fossimo la svezia, mentre nel frattempo siamo stati sorpassati dalla spagna e raggiunti da qualcun altro.
ragazzi, stiamo ai fatti.
è giusto preoccuparsi del posto di lavoro di un precario, di un ricercatore, di un maestro ma è ancora più giusto preoccuparsi del tutto.
e siccome, la classe politica (ma direi purtroppo anche la gente) da un po' di tempo a questa parte si preoccupa di questioni micro e tralascia le macro, non vorrei che tra un po' di tempo tutte queste discussioni risultassero sterili di fronte al problema più serio. quello economico generale.
anche il fatto che da giorni si parli di questo (concedetemelo) "problemone" e si tralasci la solita questione macro (soldi pochi) è un effetto della tv berlusconiana.
comunque è giusto che ognuno la pensi come vuole.
a me dispiace solo questo: passano i giorni e la mia bandiera perde i colori. non vorrei diventasse tutta bianca. sarebbe la resa. per l'italia e per me.

mercoledì 29 ottobre 2008

attendo risposta!

neanche io, come il matte, ho letto la riforma gelmini. neanche io, come il matte, ho l'acume per capirla. voglio però dire un paio di cose che faranno arrabbiare tutto il resto del popolo di questo blog (vince e nassi).
a parte la legge 133 quella del taglio alla ricerca universitaria (chiunque direbbe che ciò è male) la leggina della gelmini (riferita alle scuole elementari) mi sembra invece un bene.
il maestro unico, il grembiule, il voto numerico, il voto in condotta sono tutte cose che io reputo sane. lasciamo stare che dette da una fazione di partito opposta al governo possano apparire in questo modo: qui vogliono istituire dei nuovi balilla! vogliono omologare le coscienze! la prossima volta reintrodurranno l'olio di ricino!
no, cari amici, sono balle.
come del resto sono balle gli esercizi iperbolici dei partiti di governo per dare una giustificazione sociale a detti provvedimenti, quando l'unica, scontata, reale necessità (e qui starebbe la giustificazione) è quella di recuperare denari.
io penso questo:
in italia, dal 1964 in avanti (non sto a dire per colpa di chi) viviamo una pesante crisi di deficit per il debito pubblico. questo ha portato poi una serie di danni, rimedi, danni, rimedi-truffa, danni grossi, alleati di politica internazionale ambigui, terrorismo, stragi di stato, servizi segreti deviati, coscienza politica zero, orgoglio in campo internazionale zero, retrocessione economica, politica sociale a zero lire, costi grossi, interessi grossi, crescita rasoterra, riforme poche, non si fa il nucleare (ah craxi), si compra l'energia sempre dai soliti che ce la fanno pagare cara (ah mattei), non si contravviene ad un patto internazionale ma semplicemente ci si allea con tutte e due le parti, e si crede di essere i più furbi, i più belli, i più bravi....
in italia, dal 1964 non c'è stato ancora un politico che ha detto queste parole: ragazzi, andiamo male. questo debito pubblico cresce. che facciamo? aumentiamo le tasse o tagliamo i servizi? noi vorremmo fare ciò che abbiamo sempre fatto, ovvero mettere le mani nelle tasche degli italiani (chiaramente quelli che non recriminano, le famiglie, i pensionati, i dipendenti, i piccoli professionisti) e al contempo tagliare anche i servizi (sempre a quelli di sopra).
d'altra parte, lo sapete, siamo dei vigliacchi. a capo di un paese di vigliacchi.
no, no.. scusate, questo non si può dire. allora ragazzi, lo sapete che facciamo? facciamo una proroga, un condono, una sanatoria, un referendum e quei soldi che ci dovete ce li date a rate con comodo. quelle tasse promesse le lasciamo in mano a quelli che verranno, tanto non finiamo la legislatura e poi diamo la colpa a loro. la scuola d'altronde è dovuta, anche la salute, la pensione, il pallone e la televisione sono dovute. non possiamo mica fare la figura della spagna, del portogallo, della grecia o dell'irlanda. noi siamo una potenza economica, culturale, industriale...
compagni (nel senso del liceo) io non voglio una scuola di balilla, perchè, chiarisco subito il concetto, mi vergognerei di essere italiano.
non voglio neppure la scuola di oggi per non dover ammettere la stessa cosa tra qualche anno.
io credo, come montanelli, che un paese si faccia soprattutto a scuola e quello del 1964 (e non del 1934!) era assai migliore di questo.
in tutti i sensi.
e se non ci credete riguardatevi il film.
su rai tre in tarda serata qualche volta lo ridanno.
ciao da cecconetzer

lunedì 27 ottobre 2008

Lorenzo


Stanotte ho fatto un sogno. Ero in locale tipo pub, di atmosfere vagamente latino americane, seduto ad un tavolo. Ad un certo punto scorgo Lorenzo Pacciardi tra le persone presenti, insieme ad un gruppo di suoi amici. Mi alzo, chiamo Marco Riccetti e Iana Da Prato i quali erano in un tavolo vicino al mio e insieme a loro vado a salutarlo. Lui – che mi appare un po' appesantito, per la verità – si distoglie per un attimo dalle persone con cui stava conversando e mi guarda per un attimo, dicendo di non ricordarsi di me. Sconsolato, torno insieme a Iana e Marco verso il mio tavolo. Ci rimango malissimo e mi sveglio.
Ispirato da questo sogno delirante (come tutti i sogni che si rispettano), oggi ho invitato Lorenzo a partecipare a questo Blog. Speriamo di avere presto sue notizie.
Un abbraccio a todos.

sabato 25 ottobre 2008




Solo raramente, in pochi periodi, ci è concesso di poter osservare le conseguenze delle scellerate scelte di governo neo-liberiste. Gli eventi di questi giorni sono un esempio da manuale: le scelte sbagliate dei privati producono una crisi ormai endemica, i governi, con la scusa della crisi provvedono alla privatizzazione dei beni comuni, che assicureranno altro profitto che assicurerà altra crisi.
In questo senso il «piano programmatico per la razionalizzazione» come viene chiamata la riforma della Gelmini rappresenta uno spaccato perfetto del sistema vigente. La controriforma Brunetta-Gelmini attuata, un giorno prima della chiusura delle camere, con la legge 133 prevede tagli per otto miliardi di euro all'istruzione, la conseguente riduzione del personale docente e amministrativo: i posti tagliati solo fra i maestri saranno 1.800, per rincarare la dose tornerà a regime introduzione il “maestro unico” con classi accorpate di più di venti bambini: le conseguenze sulla qualità dell'istruzione saranno, ovviamente, drammatiche.
Istituti professionali e tecnici vengono accorpati assieme riducendo le ore di lezione ed eliminando la sperimentazione.
Ma lo scempio non si ferma qui; alle misure strettamente economiche si accompagnano provvedimenti ideologici,razzisti, classisti e repressivi come l'abbassamento dell'obbligo scolastico dai 16 anni ai 14, il voto in condotta, rivenduto come improbabile argine al fenomeno del bullismo ma più probabilmente addestramento al conformismo, all'omertà ed al silenzio.
Tutto questo mentre l'industria dei finanziamenti alle "private" non conosce crisi: “buoni scuola” tasse regionali per il “diritto allo studio” rappresentano altrettanti regali alla solita lobby ciellina, nell'istruzione come nella sanità.
Ancor più tragica la situazione delle università e della ricerca; la riforma prevede tagli per quanto riguarda la già tragica situazione di assegni di ricerca e borse di dottorato, oltre a questo il blocco dei turnover in ragione di 5 a 1 per il personale docente ed in ragione di 10 a 1 per il personale amministrativo: in pratica per ogni 5/10 pensionamenti solo uno entrerà a ruolo per gli altri solo il limbo del precariato, a questo c'è da aggiungere l'ennesimo taglio ai finanziamenti anche per le attività didattico-amministrative.
In queste condizioni i bilanci delle università italiane sono condannati al fallimento nel giro di un anno.
Ma la professorina e il mezzo ministro hanno pensato anche a questo, infatti la ciliegina sulla torta sarà rappresentata dalla possibilità per le università, asfissiate dal debito, di trasformarsi in fondazioni private.
Questo apre una nuova stagione degli orrori, a partire dal saccheggio del patrimonio immobiliare, per arrivare alla soppressione di tutti quei corsi che non sono in grado di formare professionalità utili per un mercato del lavoro moribondo, passando dalle ingerenze dei privati nella didattica.
In poche parole con la riforma, il ministro Gelmini persevera nel percorso di aggressione all'istruzione pubblica a favore di un'idea di conoscenza al servizio del mercato e delle imprese, non più studenti ma "risorse umane" da addestrare ed ideologizzare a piacere in relazione alle necessità di un mercato che continua a far pagare ad altri i suoi fallimenti.

da http://lombardia.indymedia.org
e vedi anche "l'ira dei ragazzi miti"


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martedì 21 ottobre 2008

Il tornello

domenica 12 ottobre 2008

On The Road!


È arrivata anche il resto della mia famigliola qui e, affetto e piacere a parte, non so più a che santo votarmi. Qui è tempo di esami, tests e io ne ho corretti 90 e ne restano altri 24. Come se non bastasse mi hanno anche fatto il culo perché ho messo un esame il giorno del capodanno ebraico (Yom Kippur), festa molto sentita in questa comunità. Intanto vi posto un'altra facezia (mica tanto, vista la fatica che ho fatto per prenderla), di cui vado molto fiero. Mi è costata in tutto un paio di settimane di lavoro e 28 dollari, e mi viene un po' da ridere (e da piangere) se penso che per la traduzione giurata in inglese di quella italiana me ne avevano chiesto 150 (Euri).
Chi me l'avrebbe mai detto, dalle strade di San Piero a Grado a quelle di Long Branch, città natale di Bruce Sprengsteen?
Ho solo occultato alcuni dati perché non vorrei che qualcuno la usasse per falsificare i propri documenti la prossima volta che decide di andarsi a schiantare da qualche altra parte degli USA. Gli tornerebbe anche non troppo male perché la faccia da arabo credo di averla (soprattutto se abbronzato). E forse anche un po' il cuore.
Bona a tutti!

martedì 7 ottobre 2008

Crisi delle borse

venerdì 3 ottobre 2008

parliamo di noi?

Mea culpa per il lungo periodo di assenza dal blog. non riuscivo più ad aprirlo. mea culpa anche per il ritardo con cui ho deciso di ri-aprirlo ma ho avuto i miei soliti impegni. ho comunque letto gli ultimi dibattiti e li ho trovati interessanti.
ma, fine dei mea culpa e attacchiamo con l'argomento della settimana:
la lazio capolista!
erano anni che non mi svegliavo con la lazio in testa ed ora che questo capita di nuovo non posso che esserne felice. naturalmente so che il sogno non potrà durare a lungo ma di questo non mi preoccupo: non sono tifoso della lazio perchè vince, sono tifoso della lazio perchè c'è.
ero a roma per lazio-fiorentina, andrò a bologna, firenze e milano e di nuovo a roma (anche perchè ho trovato finalmente il modo di non pagare i biglietti per la tribuna d'onore dell'olimpico, matte sveglia perchè alla prima occasione ti voglio con me allo stadio) perchè quest'anno sento un vento nuovo, un vento che potrebbe spingere l'aquila a soddisfazioni importanti.
parlare di me e delle mie cose non mi è congeniale, ma parlare della lazio è liberatorio.
ogni anno che passa invecchio con le mie passioni. il calcio mi piace sempre meno. la lazio si piazza al dodicesimo posto e penso... ma si, basta, ho 40 anni e sto ancora a fare il tifoso. poi, mi risveglia dal torpore l'urlo bestiale e come al solito esagerato del popolo biancoceleste al gol contro la fiorentina e penso che vorrei stare sempre qui e che la passione, non l'amore, è ritornato.
tutti quelli che mi conoscono da un giorno o da una vita possono ignorare la mia età, il mio stato civile, il mio lavoro, la mia convinzione politica ma conoscono tutti e perfettamente la mia passione e nella conversazione o nello scambio di una battuta ci scappa sempre: allora, sta lazio?comprendo che al mondo di questo blog (ahimè confinato a soltanto tre interlocutori) di tutto questo importa poco ma... ormai sto scrivendo.
sono vent'anni che tento di dare una risposta sincera a me stesso nel momento in cui mi viene rivolta la solita domanda: la lazio? perchè?
giorgio chinaglia diceva: la lazio è una cosa mia. la lazio sono io.
paolo di canio diceva: la lazio non è una squadra di calcio, è uno stile di vita.
per chi non conosce la storia biancoceleste:
chinaglia sta alla lazio come garibaldi all'italia. è il generale, il condottiero, l'eroe.
di canio è più semplicemente il capo degli ultras prestato al campo e vestito da calciatore.
io dico che c'entrano tante cose ma la risposta non la so dare.
so soltanto che se dopo tanti anni mi capita ancora di svegliarmi con la lazio piantata nella testa vuol dire che qualcosa è, che qualcosa c'è.
e se tra altri venti anni vi incontrassi (come spero) alla cena di classe e alla domanda: allora, sta lazio? restassi neutro come il risotto di mare nel piatto, allora vorrà dire che il vostro vecchio compagno di classe non abita più qui, che vi guarda dall'alto e chi vi aspetta con tutta la pazienza dovuta ai vecchi amici.

giovedì 2 ottobre 2008

Pop Porno

Dedicato a Mara Carfagna
che mi sembra un ministro un po' porno...

Sono quasi le 3 e lei nel sogno appare e mi dice:

"Tu sei cattivo con me
perché
ti svegli alle tre
per guardare quei film un po’ porno..."

(vai a POP PORNO)

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martedì 30 settembre 2008

Gli indubbi vantaggi dell'asinocrazia


Scusate, a costo di essere pedante, ma questo non posso evitare di metterlo. Franco Berardi, detto "Bifo", può anche non piacere alle volte, ma quando azzecca la nota giusta, va giù alla grande. Questa è una di quelle occasioni.


Gli insegnanti italiani scioperano, scendono in piazza. Ma si può mai sapere per quali ragioni si agitano? Cos'è che non va bene a questi incontentabili fannulloni che prendono uno stipendio sia pure microscopico per un lavoro inutile anzi forse dannoso? Il Ministro Gelmini riduce un po' gli organici, licenzia ottantamila maestri, sbatte fuori dalle loro classi qualche decina di migliaia di professori, costringe i presidi a fare delle classi con trentaquattro allievi, porta via soldi alla scuola pubblica e finanzia le scuole per asini devoti. Ma queste iniziative sono finalizzate al bene del buon popolo italiano, come si fa a non capirlo?
Si deve studiare di meno, questo è il santo principio. Meno professori meno maestri meno ore di scuole, meno giorni meno anni anzi se fosse possibile l'ideale sarebbe che il buon popolo italiano non fosse più costretto ad imparare quelle storie terribili che i marxisti atei pederasti insistono a volergli raccontare: le guerre, gli olocausti, la trigonometria, l'evoluzione della specie e perfino l'antropologia culturale. Che bisogno c'è mai di rovinar l'umore dei nostri adolescenti con lo studio di tutte quelle disgrazie che rischiano di insinuare soltanto dubbi malefici? Non basta imparare il mestiere? non basta quel che ogni sera dice il professor Bruno Vespa? Per essere buone madri, buoni padri e buoni lavoratori non c'è nessun bisogno di tormentarsi il cervello con tutte quelle teorie che inquinano lo spirito.
Del resto, siamo realistici. Un filosofo inglese di certo comunista di nome Francesco Bacone disse un giorno una frase blasfema che ha poi traviato molte generazioni: conoscenza è potere. Così disse quell'ateo.
Ora però, con l'aiuto d'Iddio abbiamo capito che le cose non stanno così. Se volete il potere sarà meglio essere asini.
Prendete quel Barack Obama che (Dio ce ne scampi e liberi) rischia di diventare il Presidente degli Stati Uniti. Certo quel giovinotto parla un inglese raffinato ed elegante, ha studiato nelle università migliori e si è sempre mostrato perfettamente preparato in politica estera, in economia ed in materia di diritti umani. Ma non è forse questa una prova del tutto inconfutabile del fatto che egli è diverso dall'enorme maggioranza dei buoni americani? Non è forse questa una prova del fatto che probabilmente è proprio lui l'Anticristo, il papa nero, addirittura forse islamico o forse ebreo?
Studi recenti dimostrano che proprio per quell'intollerabile pretesa di essere una persona colta e preparata, sta diventando antipatico alla maggioranza degli americani che invece, sembra, adorano quella signora che ammazza quadrupedi con un fucile a pallettoni e non sa proprio niente né della storia né della geografia, per non dire del resto. Non è forse così che ci vuole il Signore Santissimo? Non disse forse il figlio dell'uomo: Beati i poveri di spirito, perché loro sarà il Regno dei Cieli?
Asini. Così dobbiamo essere. Questa è la nuova moda che si è diffusa nel mondo da quando un ex alcolista ex disertore convertito ha vinto le elezioni del paese più importante del mondo convinto che i Talibani fossero un gruppo rock, e ignorando chi era il presidente del Pakistan.
I risultati si vedono, dobbiamo riconoscerlo. Otto anni fa l'America era la più grande potenza militare di tutti i tempi, poi ha perduto una guerra dopo l'altra, e tutti quei fetenti di russi, coreani, iraniani e venezuelani gli fanno le pernacchie, incuranti delle minacce dell'asino presidente. Otto anni fa l'America era la più grande potenza finanziaria del mondo, e adesso deve girare con il piattino a chiedere l'elemosina perché le sue banche d'investimento sono fallite l'una dopo l'altra, e milioni di americani poveracci (che magari avevano votato per il candidato asino) hanno perso la casa e dormono sul marciapiede. Otto anni fa l'America era un paese discutibile ma rispettato. Adesso nessuno al mondo vorrebbe assomigliare a quel popolo di ignoranti che si è scelto un asino come presidente.
Ma questo a Mariastella non gliel'ha detto nessuno. La devota Gelmini non vuole sentire ragioni, il suo unico faro è quel signore di Arcore che da trent'anni, ogni sera ogni mattina ed ogni pomeriggio ci rifornisce il cervello di una sostanza sottile che ci aiuta a non sentirci soli, ed a ragliare insieme tutti quanti all'unisono.

(Franco Berardi Bifo da "Liberazione" del 30/9/08)

Il nostro caro angelo

Scritta in un periodo in cui la gioventù pensava ancora agli ideali, "il nostro caro angelo" faceva probabilmente riferimento a chi da destra non accettava di adeguarsi agli ideali dilaganti dell'intellettualismo di sinistra; mai come per questo brano si richiede di fare lo sforzo di astrarre il suo testo dal contesto del periodo in cui è stato scritto, per potere così godere del suo messaggio generale, per potere così apprezzare il suo meraviglioso e profondo anelito di libertà; venendo al dunque sento questo testo estremamente vicino al sentimento di chi da sinistra si vede addirittura escluso dai dibattiti parlamentari, e non domo continua a fare politica o a seguirne l'andamento, con passione e convinzione, cercando ancora i bagliori di un ormai lontano idealismo.



La fossa del leone
è ancora realtà
uscirne è impossibile per noi
è uno slogan, falsità
Il nostro caro angelo
si ciba di radici e poi
lui dorme nei cespugli sotto gli alberi
ma schiavo non sarà mai
Gli specchi per le allodole
inutilmente a terra balenano ormai
come prostitute che nella notte vendono
un gaio cesto d'amore che amor non è mai
Paura e alienazione
e non quello che dici tu
le rughe han troppi secoli oramai
truccarle non si può più
Il nostro caro angelo
è giovane lo sai
le reti il volo aperto gli precludono
ma non rinuncia mai
Le cattedrali oscurano
le bianche ali, bianche non sembran più
ma le nostre aspirazioni il buio filtrano
raggianti luminose gli additano il blu



(Lucio Battisti, 1973)


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lunedì 29 settembre 2008

Lo spaccone


Di parole e dichiarazioni Paul Newman ne ha sempre fatte poche. Schivo e riservato, taciturno e riflessivo, il divo dagli occhi di ghiaccio ha però sempre distillato riflessioni coscienziose sul suo ruolo sociale d'attore e di icona dello spettacolo. Un Newman condensato in poche righe: "democratico" atipico, osservatore politico, filantropo generoso.

Il mestiere dell'attore
«Ecco una cosa che mi spiace del mestiere dell'attore: il guadagno eccessivo. Non è colpa dell'attore, d'accordo, non si può cambiare la legge irrevocabile della domanda e dell'offerta: però non è giusto lo stesso. Esiste una tal sproporzione tra la posizione di privilegio di cui gode nella società moderna un attore e la posizione di inferiorità in cui si trovano altre categorie».

La famiglia
«La mia famiglia è un santuario e nessuno è mai entrato in quel santuario. So che alcuni la sfruttano, la propria famiglia, per pubblicità. Io non ho nessun obbligo di farmi pubblicità. Solo di recitare meglio che posso. Tutto il resto è inutile: come lasciare le impronte delle mani e dei piedi sul marciapiede del Chinese Theatre di Hollywood».

Politica e occhi azzurri
«Un attore non ha forse diritto di dire la sua, di inserirsi nella vita politica del proprio paese? Essere attori toglie forse la cittadinanza a una persona? Ah! Tu non sei che un maleinformato, un isterico, hai gli occhi celesti e non leggi, cosa ne sai? Cosa vuoi saperne? Di cosa t'impicci?».

Popolarità e politica
«Me ne frego della popolarità. Il compito di un attore non è quello di custodire la sua popolarità, è quello di usare la sua popolarità per una causa giusta, muoversi, fare qualcosa. Io disprezzo chi non fa nulla e, se la maggioranza non fa nulla, non è detto che stia con la maggioranza; se le leggi diventano opprimenti, non significa che si debbano accettare le leggi».

Gli Oscar 1
«Si sa bene come funzionano i premi, sia ai festival che agli Academy Awards: più che un attore si premia una casa produttrice, un paese; più che un'onesta valutazione si fa un gioco politico, di convenienza».

Gli Oscar 2
«Mi piace ricevere Nomination, ma non credo che la mia vita sarebbe incompleta se non vincessi un Oscar. Certo sarebbe bello collezionare sessantanove nomination e un bel giorno, malfermo e traballante, deformato dall'artrite, vincerne uno».

Sulla sua fondazione umanitaria
«Io sono stato molto fortunato ed ora cerco di mettere la mia fortuna al servizio di chi ne ha avuta meno. Non ho fatto un grande salto né una cosa così straordinaria. E poi i bambini hanno più tempo davanti a loro, quindi maggiori possibilità di guarigione. Poi c'è un'altra cosa: gli adulti comprendono la malattia, i piccoli no. Nella struttura sul Giordano stanno assieme bimbi israeliani e palestinesi. Ogni volta che vado là penso quanto di buono si potrebbe fare se gli adulti riuscissero a tornare un po' bambini».
(stralci tratti da: L'Europeo n.8 - 2008; la Repubblica - maggio 2006; "Paul Newman" di Lawrence J. Quirk,Gremese editore)

(Davide Turrini da "Liberazione", 28/9/2008)

venerdì 26 settembre 2008

Apples Ranch


Cari amici vicini e lontani, tanto per distogliere il discorso dalla pericolosa deriva onanistica che aveva preso ultimamente (mea culpa, lo ammetto), mando questo foto della graziosa casetta dove andrò a vivere a partire da mercoledi prossimo. Il resto della famiglia arriverà venerdì, accordi sindacali dell'Alitalia permettendo. La casa si trova a due passi dal campus (separata da un boschetto) e rappresenta quindi l'ideale per chi, come me, non si rassegna all'idea di andare a lavorare in macchina come fanno il 99,99% degli americani (lo 0,01 vive direttamente in ufficio). Saremo dunque liberi di utilizzare l'ormai mitico SUV per i minuti piaceri, oltre che ovviamente per accompagnare la bimba a scuola e fare la spesa. A proposito del mitico devo comunque aggiungere che è una vera goduria riempire tre quarti di serbatoio con $30 (20,5 Euri, ad un cambio pessimista). Tutto ciò nonostante l'attuale prezzo del petriolio alle stelle! Figuriamoci qualche anno fa. Questo è uno dei motivi non secondari per cui gli americani sono stati abituati pure ad andare a pisciare con la macchina.
Come diceva Mario Marenco negli anni 70: Waldheim!

martedì 23 settembre 2008

Vintage seg

martedì 16 settembre 2008

Summer Vacation


Studentesse universitarie statunitensi in vacanza in Florida durante la pausa estiva.

venerdì 12 settembre 2008

da CapaRezza, "Le Dimensioni Del Mio Caos" (2008)

Penso a Vincenzo lontano dalle sue Terre e mi viene subito in mente questo brano semplice, diretto, divertente, melodico, ballabile, autentico, forte e denso come un succo di pomodoro versato sulla scena di un film di Mafia...
ma ora torno al Rock.


Vieni a ballare in Puglia

I delfini vanno a ballare sulle spiagge. Gli elefanti vanno a ballare in cimiteri sconosciuti.
Le nuvole vanno a ballare all'orizzonte. I treni vanno a ballare nei musei a pagamento.
E tu dove vai a ballare?

RIT: Vieni a ballare in Puglia Puglia Puglia, tremulo come una foglia foglia foglia.
Tieni la testa alta quando passi vicino alla gru perchè può capitare che si stacchi e venga giù.

Hey turista so che tu resti in questo posto italico. Attento! Tu passi il valico ma questa terra ti manda al manicomio.
Mare adriatico e Jonio, vuoi respirare lo iodio ma qui nel golfo c'è puzza di zolfo, che sta arrivando il demonio.
Abbronzatura da paura con la diossina dell'ILVA. Qua ti vengono pois più rossi di Milva e dopo assomigli alla Pimpa.
Nella zona spacciano la morìa più buona. C'è chi ha fumato veleni all'ENI, chi ha lavorato ed è andato in coma. Fuma persino il Gargano, con tutte quelle foreste accese.
Turista tu balli e canti, io conto i defunti di questo paese. Dove quei furbi che fanno le imprese, non badano a spese, pensano che il protocollo di Kyoto sia un film erotico giapponese.

RIT: Vieni a ballare in Puglia Puglia Puglia dove la notte è buia buia buia. Tanto che chiudi le palpebre e non le riapri più.
Vieni a ballare e grattati le palle pure tu che devi ballare in Puglia Puglia Puglia, tremulo come una foglia foglia foglia.
Tieni la testa alta quando passi vicino alla gru perché può capitare che si stacchi e venga giù.

E' vero, qui si fa festa, ma la gente è depressa e scarica. Ho un amico che per ammazzarsi ha dovuto farsi assumere in fabbrica. Tra un palo che cade ed un tubo che scoppia in quella bolgia si accoppa chi sgobba e chi non sgobba si compra la roba e si sfonda finché non ingombra la tomba.
Vieni a ballare compare nei campi di pomodori dove la mafia schiavizza i lavoratori, e se ti ribelli vai fuori. Rumeni ammassati nei bugigattoli come pelati nei barattoli. Costretti a subire i ricatti di uomini grandi ma come coriandoli.
Turista tu resta coi sandali, non fare scandali se siamo ingrati e ci siamo dimenticati d'essere figli di emigrati. Mortificati, non ti rovineremo la gita.
Su, passa dalla Puglia, passa a miglior vita.

RIT: Vieni a ballare in Puglia Puglia Puglia dove la notte è buia buia buia. Tanto che chiudi le palpebre e non le riapri più.
Vieni a ballare e grattati le palle pure tu che devi ballare in Puglia Puglia Puglia dove ti aspetta il boia boia boia.
Agli angoli delle strade spade più di re Artù, si apre la voragine e vai dritto a Belzebù.

O Puglia Puglia mia tu Puglia mia, ti porto sempre nel cuore quando vado via e subito penso che potrei morire senza te.
E subito penso che potrei morire anche con te.




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lunedì 8 settembre 2008

Colpi bassi nella campagna elettorale ameriana


SCANDALOSO! Riportati alla luce gli scheletri dell'armadio repubbliano! Mecchein in crisi, Obama se la ride alla grande: "l'avevo detto io che con quella ghigna a culo Rega un' poteva esse un vero ameriano!"

sabato 6 settembre 2008

The Great Escape


Non so cosa è stato: la solitudine, la megalomania, il fascino dell'American Dream, semplice consumismo. Sta di fatto che l'ho fatto: mi sono comprato il SUV!
Ieri grazie alla disponibilità di una collega che mi ha accompagnato, ho visitato due concessionari locali che vendevano sia auto nuove che usate. Presso il primo (concessionario Toyota) mi è subito apparso di fronte un venditore che per stazza e abbigliamento poteva benissimo essere il tipico agente dell'FBI dei telefilm americani, dopo aver sentito che il mio range di spesa era sui $5000 non ha riso solo perché era perfettamente consapevole del suo ruolo e mi ha detto che sotto i $10000 avevano solo questo: la Ford Escape XLT, annata duemilauno - macchina che deve il suo nome al celebre film "La grande fuga", con Steve MacQueen. Con la mia collega Nancy affianco e l'agente dell'FBI dietro sono andato a fare un girino di prova, evitando grosse figure di merda, che possono capitare se si passa bruscamente al cambio automatico. La bestia mi è subito apparsa docile: inchiodata sulla strada, facile da guidare grazie alle dimensioni contenute (si tratta di un mini SUV, come potete vedere), solo un pochino ritardata in frenata. La potenza si è sentita subito, anche nel breve giretto a 35mph al massimo, grazie ai sei cilindri e 3000cc.
Sono sceso e un po' frastornato mi sono seduto alla scrivania di Ted (non mi ricordo se si chiamasse veramente così, ma è uguale), il quale ha fatto due conti e ha sparato: $10300 "out of the door" (il nostro "chiavi in mano"). Capite che mi è sembrata una cifra stratosferica, inesistente sul mio conto in banca locale e decisamente fuori della mia portata.
Io e Nancy ci congediamo e passiamo a visitare il secondo concessionario, poco distante in linea d'aria. Qui ci accoglie un chiavicone dalla chiara ascendenza italoamericana (tal Ambrosino, che da me sollecitato si è dichiarato "napulitano"), il quale ci ha avvolto nella sua tipica eloquenza da venditore di macchine usate americano (come Nancy mi ha fatto osservare) e dopo avermi riso in faccia alla dichiarazione del mio badget disponibile, si è speso in lodi sperticate di una vecchia Mustang verde ramarro del 1998, declamata come auto dell'anno (quale?).
A questo punto ce ne siamo andati con la coda tra le gambe. Nancy doveva andare a prendere il figlio alla partita di "soccer", io senza il suo passaggio in macchina non potevo fare più niente, e allora mi sono fatto accompagnare a casa.
Tornato tra le mura domestiche, la mia sottile sensazione di sconforto era attenuata ancora dall'ebrezza provata al volante di quella macchina considerata finora irraggiungibile.
Ho passato buona parte della serata a leggere tutte le prove di guida disponibili su internet, che riguardavano la Escape e mi sono studiato tutte le valutazioni dell'usato dall'Arizona al Wyoming, per capire se Ted mi aveva preso per il culo o meno.
Ho notato che, considerato le miglia percorse (54000) e l'anno di immatricolazione (2001), forse la potevo spuntare anche un po' più a buon mercato. Il mio conto in banca mi ha dato subito le dimensioni possibili dell'azzardo: $9300, cent più cent meno.
La notte è stata agitata, come si conviene prima delle grandi occasioni, e stamattina, dopo aver ingurgitato due etti di corn flakes e cappuccino in polvere per farmi forza, ho chiamato la concessionaria: "I would like to make a offer for the Ford Escape I tried yesterday: $8000...". "Ok, we will call you back". Dopo pochi minuti, mi arriva la controproposta: $8850, "out of the door" (New Jersey taxes incluse). Non ho saputo rifiutare.
Tempo quaranta minuti, e Ted mi aspettava fuori la porta di casa, per portarmi al concessionario per sbrigare tutte le formalità. Alle due di pomeriggio sono salito sulla macchina con le chiavi in mano, la targa provvisoria, una settimana di assicurazione gratuita e un buono di trenta dollari di benzina da spendere presso il primo distributore.
Ho ululato più volte di gioia durante il tragitto, al volante del primo SUV (ancorché mini) della mia vita: i passanti erano presi dalla tempesta tropicale per notare un bischero che saltellava sul sedile.
Non pago di tutto ciò, ormai in preda a delirio adrenalico puro, sono entrato nel più vicino supermarket dell'elettronica e mi sono comprato pure il navigatore satellitare! (Tomtom tipo base, senza la voce che ti legge il nome delle strade, per modici $149=Euri 105).
In finale faccio solo due considerazioni. Una di natura più generale: in America la cittadinanza è veramente fondata sull'automobile. Senza è inutile avere il passaporto, il social security number, l'assicurazione sanitaria. Se non si ha la fortuna di vivere in una grande città, dove ci sono un minimo di mezzi pubblici, nella provincia si è perduti. Senza auto non puoi fare la spesa, non puoi andare dal medico, non puoi andare a trovare i tuoi amici. Sei tagliato fuori dalla vita sociale.
La seconda considerazione, di natura più strettamente personale, è che i dieci giorni che mi separano dalla prossima busta paga (qui bisettimanale, per incentivare il consumo, ovviamente!) non saranno facili, se considerate che con il rimanente del mio conto in banca devo pagare anche l'affitto della stanza dove risiedo. Ma come hanno detto una serie di persone, forse non proprio tutte raccomandabili: "memento audere semper"! (Soprattutto fintanto che non c'è mia moglie).
Un abbraccio e alla prossima.

Oops..!


Sorry, mi sono sbagliato: la tropical storm è arrivata eccome!

Tropical Storm Hanna


Sono arrivate du' gocce d'acqua e un po' di ventarello... ben fatto, Captain Volpe!

The University Police have been monitoring Tropical Storm Hanna along with the NJ State Police Office of Emergency Management, the Monmouth County Office of Emergency Management and the Monmouth University Rapid Response Institute. At this time the storm is expected to move into the area on Friday evening and continuing into Saturday. Heavy rain and winds up to 40 to 60 MPH are expected.



In preparation for the storm, all members of the University are being requested to check the windows of their classrooms, offices and Residential Life Halls to make sure that their windows close and seal properly. If they are defective in any way, please submit a work order to get them fixed as soon as possible. Employees are also reminded to close all windows prior to leaving their buildings on Friday.



Any member of the campus community who might have a special need that would have to be accommodated if the electricity goes out, or there is minor flooding, should immediately contact the Police Department so that preparations can be made to assist. Please call 732-571-3472 to supply this information.



The Monmouth University CERT Team has been placed on standby. Any member of the CERT Team who is unable to respond to the University this weekend is requested to contact Captain Dean Volpe.



The University Police will keep the campus community updated as to the progress of the storm and we thank everyone for their cooperation.



William McElrath

Chief of Police

martedì 2 settembre 2008

Primo giorno di lavoro


Non tutti sanno che il 2 settembre in America è il Labour Day, quindi non si lavora e – chi può – va a fare probabilmente una delle ultime giornate a mare della stagione. Io infatti ieri, grazie all'invito di alcuni amici che mi hanno portato sulla bellissima spiaggia di Fire Island (www.fireisland.com), "ho preso più sole di un pannello" (Santochi 1987).
Oggi dunque è stato il mio primo giorno di lavoro. Gli studenti sono più gentili, carini(e), in osservanza dell'aureo principio censitario americano: retta più alta all'università, migliore (in termini di educazione e cultura generale) la qualità dei frequentanti. Ovviamente anche da un punto di vista estetico "class matters": vestiti, pettinature, l'abbronzature, dentature, sorrisi. Tutto si trova su di un piano superiore, come quando si affitta una macchina da 50 o da 500 dollari.
Il primo giorno è stato decisamente positivo, complice anche la giornata di sole limpidissima. Qui se possibile ci sono ancora più italoamericani che dove ero prima (Wayne), non tanto tra gli studenti, ma tra il personale docente e non docente. C'è persino una professoressa Mele di criminologia, che mi ha scritto perché vuole incontrarmi! Credo che per rompere il ghiaccio le farò osservare che se volesse (ri)sposarmi, non dovrebbe neppure fare la fatica di cambiare il cognome.
L'ambiente è dunque piacevole: fiori, colleghi di buonumore, visi abbronzati. Il campus talvolta mi ricorda persino un campo da golf, con le macchinine elettriche bianche in su e giù. Tutto sembra invitare al buonumore, che fa da barriera ai momenti di solitudine.
Vi terrò aggiornati.
Un abbraccio.

sabato 30 agosto 2008

La Folla di Obama



Riporto questo articolo di Marco D'Eramo, noto giornalista e saggista del Manifesto, acuto conoscitore di cose americane, che fino ad ora si era sempre dissociato dall' "Obama-mania" di maniera e provinciale in salsa italiana. Anche lui è costretto ad ammettere "per chiunque abbia frequentato questo paese, è impossibile trattenere un groppo alla gola nel vedere una famiglia di afroamericani acclamata come lo furono Jackie e John Kennedy, Hillary e Bill Clinton". Buona lettura.

Se il mezzo è il messaggio, due saranno le tracce che la notte di giovedì lascerà impresse in milioni di americani. Un nero candidato ufficiale alla presidenza degli Stati uniti. E la folla sterminata che lo circondava. Nello stadio dei Broncos, a Denver, erano in 84.000 ad ascoltare il discorso con cui Barack Obama ha accettato la candidatura democratica. Parlare in uno stadio di calcio e non in un palazzetto dello sport da 20.000 posti era una scommessa rischiosa, sia per la difficoltà di riempirlo, sia per il pericolo di dirottare e snaturare in puro spettacolo un evento politico. Ma Obama ha vinto la duplice scommessa e, più che il suo discorso, è stata la folla che lo attorniava a costituire la sua vera prova di forza. Tra i precedenti candidati democratici, solo John Kennedy aveva osato pronunciare il suo discorso di accettazione in uno stadio, il Memorial Coliseum di Los Angeles nel 1960. Ma nemmeno Kennedy era riuscito a radunare una folla così oceanica.
Nella tecnologia politica statunitense Barack Obama ha introdotto infatti un'innovazione inedita, ha fatto della folla un fattore di politica istituzionale. In Europa siamo consci da tempo del ruolo che possono avere le folle oceaniche per gli aspiranti premier, per i leader, per i capi di stato, per i pontefici. Ma negli Stati uniti, fino a ora il ruolo politico della folla era confinato alle proteste, alle marce per i diritti civili, ai grandi cortei contro la guerra in Vietnam o in Iraq, alla One Million Man March del reverendo Louis Farrakhan.
Mai prima una folla di queste dimensioni era stata assemblata attorno a un senatore, a un candidato presidenziale.
Questa novità non ha ancora ricevuto sufficiente riflessione. È un evento inedito che gli analisti non sanno come catalogare: in fondo le uniche folle «istituzionali» che questo paese conosce sono quelle dello sport e dello spettacolo. Da qui l'accusa a Obama di giocare solo alla «celebrità». Resta il fatto che fra due giorni a Minneapolis, alla Convention repubblicana, John McCain non sarà in grado di mettere insieme neanche 10.000 persone: il paragone tra i due sarà impietoso.
Ancora più profonda la seconda traccia lasciata dalla notte di giovedì sotto il terso cielo stellato del Colorado. Per chiunque abbia frequentato questo paese, è impossibile trattenere un groppo alla gola nel vedere una famiglia di afroamericani acclamata come lo furono Jackie e John Kennedy, Hillary e Bill Clinton. Solo venti anni fa una simile immagine sarebbe stata impensabile. Certo non vuol dire che il razzismo abbia smesso di avvelenare gli Stati uniti, proprio come l'essere stato guidato da una donna, Benazir Bhutto, non ha reso il Pakistan meno machista e misogino. È però il segno di un'evoluzione lenta e sotterranea: venti anni fa a Jesse Jackson, che pure era partito bene, fu impedito di arrivare alla nomination. Obama ci è invece riuscito e lo ha sancito con un discorso dai toni kennediani.
Resta ora la parte più difficile. Gli 84.000 di Denver erano «veri credenti». Ma da oggi il pubblico si estende all'America profonda, diffidente, a volte rancorosa, in preda alle paure più disparate.
Da questo punto di vista, se qualcosa è mancato al discorso di Obama, perché fosse pienamente kennediano, è stato lo slogan che sintetizza tutto, la formula che risulta indelebile, il «New Deal» di Franklin Delano Roosevelt, la «Nuova Frontiera» di Kennedy, la «rivoluzione antistatale» di Ronald Reagan, persino il «Compassionevole Conservatorismo» di George Bush jr. e il «contratto con gli italiani» di Silvio Berlusconi. Obama ha delineato un orizzonte politico, ma non lo ha battezzato. E questo può diventare un problema. Avremo tempo di verificare le sue proposte politiche, ma certo nel suo discorso Obama ha cercato di spuntare le due più serie critiche che gli erano state rivolte: da un lato di restare sempre nel vago, di non sporcarsi mai con la concretezza delle singole riforme, e dall'altro di parlare troppo di sé e di troppo poco attaccare Bush e McCain. Giovedì sera l'attacco a McCain è stato misurato ma fermo, educato ma frontale.
Una tale performance lascia prevedere che nei prossimi giorni Obama registrerà un balzo notevole nei sondaggi. Resta da sapere quanto questo slancio sarà duraturo. Le vecchie diffidenze permangono, e - a cercare proprio il pelo nell'uovo - Obama nulla ha detto per lenire e sanare le difficoltà degli americani ora e adesso, in questi mesi e non fra cinque anni: non ha proposto nessuna misura di rilancio immediato dell'economia.
Non saranno poche centinaia di dollari a famiglia di sgravi fiscali a rilanciare un'economia afflitta da un calo generalizzato dei redditi e quindi da un diminuito potere d'acquisto. Ma per discutere tutto ciò ci sarà tempo a iosa nei prossimi due mesi. Oggi per Obama la strada che conduce alla presidenza resta ancora in salita, ma dopo la Convention e la notte di giovedì, la salita è meno ripida.

(da "Il Manifesto" del 30 agosto 2008)