mercoledì 26 novembre 2008

Thanksgiving


Domani è il giorno di Thanksgiving, in cui si celebra il giorno in cui, quattro secoli fa, i pellegrini del Mayflower approdarono sulle coste del Massachusetts e riuscirono a sopravvivere grazie all'aiuto di una tribù Iroquois che gli insegnò la coltivazione del mais, la caccia e la pesca. In segno di ringraziamento i pellegrini superstiti offrirono una cena al capo indiano e a 90 membri della sua tribù, a base di tacchino, mais, zucca e fagioli. Dopo che gli Stati Uniti sono divenuti una colonia indipendente, Giorgio Washington ha ufficializzato questa festa nazionale e la tradizione ha voluto che si festeggiasse con i medesimi cibi.
Ciò ovviamente non ha impedito che i rimanenti indiani fossero sterminati con meticolosità lungo tutta la storia americana.
In ogni caso, domani andremo a festeggiare a casa di mia zia Lucy e, se sopravviveremo alle sei ore di pranzo previste, forse faremo un giro fino al Massachusetts, essendo un fine settimana di ferie.
Happy Thanksgiving a tutti!

lunedì 24 novembre 2008

quote snai!

la cena di classe non è stata ancora organizzata.
si farà? e se si farà, quando? e dove?
intanto sono uscite le quotazioni snai sulle presenze alla cena:

vince 1,05
nassi 1,10
matte 1,15
ghila 1,15

sono quote relative ai "sicuri". e si riferiscono a coloro che ceneranno gratis. in quanto ideatori, promotori, relatori del blog avranno i posti in tribuna vip. ottimo vino, caffè, amaro e maiala.

malva 1,40
valeria 1,50
cane 1,75
elena 2,00

questi invece i commensali "possibili" e son quelli che avranno diritto a mangiare molto e a pagare poco. delegato ai conti sarà il sig. cane. il suddetto cane osserverà attentamente gli ordini dei "possibili" e poi procederà algebricamente alla seguente operazione: il listino X 1,41

claudio 3,00
iana 3,00
gave 3,50
antonella 4,00
jabo 4,25
maltinti 5,00

questi sono gli "outsider". la scommessa qui è più difficile, considerato che questi dovrebbero iniziare dal secondo e pagare il prezzo pieno. inoltre sono coloro che in caso di parcheggio difficile e pioggia avranno le chiavi, gli ombrelli, l'accendino, le sigarette, i fazzolettini e le big buble.

scara 10,00
cosimo 11,00
riccio 12,50
barta 14,00

sono gli "improbabili". se verranno prenderanno un caffè e senza salutarci ritorneranno nelle loro auto sulla via di casa. si tratta di coloro che almeno una volta (mi pare) si sono presentati e pertanto potrebbero ritornare. se dovessero venire, mi raccomando, salutateli come se niente fosse, perchè può succedere di dimenticarsi 19 volte degli amici.

calderini 50,00
galantini 55,00
pacciardi 60,00
salerno 70,00
pellerey 99,00

sono i "desaparecidos". nessuno li vede più da anni (2 di questi io li ho visti al mare e ve li raccomando) ma di colpo potrebbero rientrare al tavolo. in questo caso presentatevi educatamente come se fosse la prima volta che li vedete negli ultimi 20 anni.

ah il gioco!

è possibile giocare la schedina con le quotazioni inserendo nella matrice 5 nomi (uno per categoria) quindi: 1 sicuro, 1 possibile, 1 outsider, 1 improbabile, 1 desaparecido. chi dovesse azzeccare il quintetto tromba quelle du fie (dell'occhiello), chi ne prende 4 moltiplica l'ammontare per € 2,00 della giocata. in entrambi i casi pago io.

buon divertimento.

Un provinciale a New York


Chi si ricorda di questa vecchia favolosa commedia con Jack Lemmon? Mi sono trovato in una situazione molto simile, che vale la pena di essere raccontata.
Vediamo comunque di non prenderci troppo gusto: non è che io posso svenarmi per animare il Blog, né passare per un cretino totale. In ogni caso il "gufo" Matte ha colpito ancora (che il dio delle multe lo fulmini al più presto...)! Domenica scorsa abbiamo fatto una gita a NY per andare a visitare il Natural History Museum, vicino Central Park West dove abbiamo parcheggiato. Essendo domenica si poteva farlo e io per scrupolo ho chiesto anche ad un'auto della polizia conferma. L'unico problema è che non ho notato un idrante piccolissimo e grigio a poca distanza (meno di 3 feet, dice il codice stradale, ovvero circa un metro),sia perché faceva un freddo becco che non aiuta certo a ponderare con attenzione le situazioni, sia perché ero concentrato a trovare l'eventuale cartello di divieto di sosta. Non mi sono preoccupato invece del piccolo killer che giaceva nelle vicinanze (secondo me a un po' di più di un metro di distanza, ma tant'è: vallo a contestare alle sette la sera, quando abbiamo scoperto la multa, a meno cinque di temperatura).
Un ultima annotazione riguardo i commenti al post precedente: io sono dell'opinione che "Tribuna Politica" era una grandissima trasmissione di approfondimento se comparata alle risse televisive attuali e non avrei assolutamente in contrario se il Blog dovesse assomigliarvi.

venerdì 21 novembre 2008

Gerontocrazia


Meritocrazia: una parola che non ho mai amato e che continua a suscitarmi scetticismo. Mi è sempre sembrato un modo ipocrita di considerare eguali situazioni e persone che sono in realtà diseguali: il figlio di laureati che ha la casa piena di libri e quello che non ha nemmeno la casa; il pupillo della famiglia bene "allevato da cinque nurses di cinque paesi diversi" (Alberto Sordi, "I nuovi mostri") e quello cresciuto a pane e frittata dalla nonna. Come fanno ad avere le stesse possibilità di riuscire nella vita? Come si fa a considerarli corridori in una medesima pista agli stessi blocchi di partenza?
Eppure la realtà italiana riesce ancora ad offrirci qualcosa di peggio: la gerontocrazia. Che non è, badate bene, la saggezza al potere, come poteva essere il caso delle tribù indiane, in cui ai vecchi si chiedeva consiglio e si portava rispetto, perché molto sapevano e avevano vissuto. È qualcosa di diverso. È come se – per rimanere al paragone con la tribù indiana – i giovani fossero costretti a rimanere nel recinto a pulire il culo alle vacche, mentre i vecchi vanno sul campo di battaglia a mercanteggiare i posti di potere che poi, forse, quando i giovani saranno diventati maturi (leggi vecchi anche loro), potranno occupare.
C'è una famosa vignetta di Altan in cui un suo personaggio dice: "mi vengono in mente pensieri che non condivido". Che sia forse il caso della tanto odiata (perlomeno da me) "meritocrazia"? Ai commenti l'ardua sentenza.
Intanto vi sottopongo questo intervento sul tema di Giancarlo Bosetti, che personalmente mi tocca anche da vicino.



Un ultraottantenne come soluzione, sofferta ma infine accettata, di un problema politico non è in Italia una novità. Sergio Zavoli, classe 1923, designato presidente della Commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai, non ha l´aria di un caso isolato: presidenti della Repubblica e primi ministri, con un piccolo scarto di anni, sono in linea con la constatazione. Ciampi ha lasciato a 86 anni, Napolitano ha iniziato a 81, Prodi ha lasciato a 69 e Berlusconi ha compiuto i 72. È ovvio che la qualità della prestazione non ha relazioni dirette con l´età, così come nulla c´è da eccepire sulle doti professionali e sull´equilibrio del grande giornalista Zavoli (dal «processo alla tappa» alla presidenza Rai), che andrà ora a occupare un ruolo che ha il suo peso spropositato nei riti della politica italiana.
Il moto di scoramento è però difficile da trattenere di fronte alla evidenza di quel che è stato scritto in un celebre articolo di Gianluca Violante sul sito lavoce.info già due anni fa. Fatti due conti, l´autore concludeva: in Italia, quando la quasi totalità delle carriere lavorative si esaurisce, in politica si raggiunge l´apice. Come mai? Legittima, ma non dirimente, la preoccupazione che politici troppo vecchi non siano i migliori interpreti dell´innovazione, né i più adatti a captare esigenze nuove.
Più influente, sulla pulsione depressiva, la considerazione che l´anzianità del mondo politico è lo specchio dei vizi del mondo del lavoro: bassa mobilità sociale, avanzamento di carriera per anzianità e non per merito.
La differenza di età tra il presidente del Consiglio italiano e la media dei colleghi europei è di venti anni. L´elezione di Obama, 47 anni, ha soltanto incrementato i sintomi di abbattimento che ci attanagliavano già prima di lui e di Zavoli. È vero che nel lavoro a 65 anni scatta per lo più la regola della pensione e in politica no, ma è anche vero che i vizi che prolungano oltre le medie internazionali la percentuale dei vegliardi sono affini a quelli che mantengono in posizioni molto redditizie dirigenti e notabili di vario genere che non producono risultati proporzionati ai guadagni. Varie indagini statistiche mostrano che solo il 15 per cento della retribuzione di un dirigente d´azienda è collegata alla sua prestazione, il resto «è carriera», vale a dire, anzianità, buone relazioni, capacità di navigare con astuzia nella scia di un altro dirigente con anzianità, buone relazioni, capacità di navigare? Il rapporto col prodotto viene ultimo, come nel caso delle liquidazioni dei manager di Alitalia, Ferrovie dello Stato, in generale delle grandi aziende di servizio, anzi non viene mai, come per gli stipendi dei parlamentari la cui produttività non viene comparata con quella dei colleghi nel mondo (i congressmen guadagnano 36mila euro in meno all´anno).
Il libro recente di Roger Abravanel (Meritocrazia, Garzanti) ha dato ordine sistematico al tema. L´Italia è fuori dal circolo virtuoso del merito. Seguite la freccia benigna: tutti accettano la concorrenza, si fanno crescere le opportunità, si traggono benefici con consumi a basso costo, si rafforza la fiducia nel merito, cresce l´impegno a eccellere, i migliori salgono nella scala sociale, si crea leadership sicura di sé che promuove un contesto concorrenziale e nuova fiducia nel merito. Al contrario noi italiani siamo nel circolo vizioso del demerito. Seguite la freccia maligna: i giovani non si impegnano, si fa carriera per conoscenza e anzianità, si crea leadership anziana che opera per mantenere status, e si promuove così sfiducia nel merito. La recente indagine Luiss sulla classe dirigente, guidata da Carlo Carboni, aveva aggiunto un bel mattone all´edificio critico: la politica manda in parlamento sistematicamente figure di scarsa qualità e alta lealtà che tendono a mantenere lo status della leadership che li ha cooptati. Il merito resta fuori perché nel contesto politico italiano appare minaccioso: segreterie deboli, di sinistra, di destra e di centro, grazie a una legge elettorale costruita ad hoc, adottano schiere gregarie per non impensierire leader fragili. E i «leali» in esubero vengono sistemati in aziende regionali, comunali e simili, dovunque possibile, con un progressivo abbassamento della qualità manageriale.
Queste tendenze fanno dell´Italia un paese fortemente inegualitario in partenza (come l´America e l´Inghilterra) nel quale la bassa mobilità (come in Francia e Germania, che hanno però una più bassa ineguaglianza) tende a cronicizzare le distanze sociali (mentre in America la elevata mobilità rinnova un po´ di più le élite). Il risultato è la condizione in cui siamo. La nomina di un anziano fa risuonare sempre la stessa campana dal suono vellutato. Non stupisce che la reazione sia più un triste scuotimento di spalle che una rabbiosa reazione. Il circuito perverso ha lavorato in profondità: è più facile mettersi nella scia di qualche potere (un manager, un boss politico, un anziano) che tentare di aprire una nuova pista nella boscaglia a colpi di machete diventando eroi di se stessi.
La via d´uscita per i più coraggiosi è quella di andarsene. Un dolorosa classifica, che si aggiunge alle altre è quella prodotta dal think-tank Vision (Bocci, Maletta, Realino, Grillo): un formidabile indicatore delle prospettive di un paese e del suo sistema universitario è il numero di studenti stranieri che riceve. Gli Stati Uniti raccolgono circa un quarto dei 2 milioni e 700mila studenti che vanno all´estero, l´11 e il 10 per cento vanno in Inghilterra e Germania, la Francia il 9. L´Italia è l´unico paese sviluppato con un saldo negativo: sono 4mila in più quelli che se ne vanno. Che cosa significa? Che la via d´uscita dal circuito del demerito sempre più nostri giovani connazionali la vanno a cercare fuori. Dentro, non c´è partita.
GIANCARLO BOSETTI, da La Repubblica

mercoledì 19 novembre 2008

Greetings from Grant Park


So di ripetermi, ma non importa. Le grandi gioie esigono la ripetizione. Sono solo molto contento di soggiornare in un paese che ha questa first family. Certo, quello che succederà ora è tutt'altro che scontato. Non si vive di soli simboli, e Obama dovrà dimostrare di sbrigarsela in una situazione politica ed economica di rara difficoltà. Per adesso (non per molto ancora) godiamoci ancora questo momento di festa. Riporto qui un brano di un articolo di Renata Ingrao (una delle figlie di Pietro), dirigente di Legambiente. Nell'articolo riporta le sue emozioni di madre che ha adottato una bambina nera (ora dodicenne) di fronte all'evento dell'elezione.
Saluti a tutti.


Ho tifato Obama perché era un democratico nero candidato alla Casa Bianca e tanto mi è bastato. Ho tifato con il cuore ma anche con la testa, e con il cuore e con la testa ho capito, giorno dopo giorno, mese dopo mese, che lo straordinario "miracolo" che si è compiuto è stato possibile perché Obama ha sovvertito le regole del gioco, ha rotto gli steccati, ha rimescolato i ruoli, ha superato i conformismi, ha ridefinito le identità; e perché milioni di persone di fronte alle difficoltà crescenti della vita hanno avuto "l'audacia della speranza", hanno voluto lasciarsi alle spalle le gabbie del passato per guardare alle possibilità del futuro. Obama, la sua storia, la sua passione e intelligenza (che ho scoperto fra l'altro leggendo i suoi libri) rappresentano il miracolo della politica che torna ad avere valore, che consente la partecipazione a una comunità più ampia e rappresentativa delle singole individualità.
Il presente e il futuro oggi mi appaiono meno cupi. L'uomo più importante del mondo - simbolicamente e realmente - è un afroamericano, con la storia, le idee e i programmi di Obama. Mia figlia è sicuramente più forte e più protetta di ieri dai pericoli del razzismo.
Quest'estate siamo state a Parigi, la prima volta per lei, fresca di passaporto. Una città di cui si è innamorata. A colpirla positivamente, fra le tante cose, è stato vedere per le strade molte coppie miste, non solo fidanzati ma amici, colleghi, gruppi di persone di ogni parte del mondo, di ogni provenienza - africani, asiatici, europei, bianchi, neri e con tutte le sfumature, mescolati e non divisi per appartenenze ed etnie come succede da noi. Mi ha chiesto di venire a vivere a Parigi, le ho promesso che ci sarebbe potuta andare, appena finito il liceo. Chissà, forse, fra qualche anno avrà cambiato idea, in fondo ama molto il suo paese, in cui ha radici solide e profonde; o magari a cambiare sarà il clima delle nostre città, contagiato da una voglia di cambiamento tanto inattesa quanto potente, reso meno angusto e rivitalizzato dal vento americano. Come ci hanno insegnato gli Stati Uniti, molto dipende da noi.
P.S. A proposito di sit-com americane. Ce n'è una, molto divertente, Cory alla Casa Bianca , che mi capita di vedere con mia figlia, protagonista un simpatico adolescente nero, figlio di un cuoco diventato lo chef del Presidente, un Presidente naturalmente bianco, piuttosto sciroccato, con una figlia, una ragazzina dispettosa e abbastanza odiosetta. Adesso gli sceneggiatori della prossima sit-com sono più liberi, e per registi e attori d'ora in poi non c'è più niente di scontato nell'attribuire le parti.

martedì 18 novembre 2008

Cucù!

lunedì 17 novembre 2008

Bill


In attesa che il nostro Cecconetzer posti sulla sua amata Lazio, io continuo a scrivere ancora sulle mie esperienze di "ordinary life" negli States. È anche un modo per togliersi quel maledetto poster legista dai coglioni, tutte le volte che si apre il blog. Quella che qui vi inoltro al suo posto è la mia prima multa ("Bill" si dice da queste parti): credo che meriti di essere celebrata. Il fatto è che le autostrade americane (perlomeno quelle del New Jersey) sono semigratuite, e il pagamento funziona in maniera un pò artigianale: al casello se non si dispone dei tagliandi o del pass elettronico, ci sono delle specie di secchi conici in cui l'automobilista deve gettare in genere settanta centesimi di dollaro. Vada per il primo casello, vada per il secondo, al terzo l'automobilista oriundo (che sarei io) finisce gli spiccioli e comincia a buttarci di tutto: centesimi di euro, bottoni, mentine, funghetti di plastica della bambina, ecc. In genere non succede niente, talvolta si può venire fotografati. Così è stato il mio caso. L'intenzione non era quella di contravvenire, ma è stato una circostanza dettata dalla necessità. Ora ho la scelta di pagare, o farmi da due a cinque settimane di galera.
Ad maiora!

venerdì 7 novembre 2008

mercoledì 5 novembre 2008

Il figlio degli schiavi


Quando vedrete questo post, conoscerete già tutti il risultato delle elezioni. Io lo ho saputo prima di voi, ma mi sono dovuto tenere il risultato nel cuore, per così dire, in quanto non avevo accesso ad internet. In realta' non avevo nemmeno accesso alla televisione, in quanto abbiamo deciso di non fare l'abbonamento alla tv via cavo, essendo piuttosto costoso. Tuttavia ieri verso le otto e un quarto non ho resistito: sono uscito a comprare l'antenna! Ho pensato: non posso perdermi questa notte storica. E' così è stato: alle 11 spaccate ora della costa est (le 10 a Chicago, dove si trovava la nuova "first family", le 9 di sera a Memphis in Arizona, dove era McCain) si e' avuta la certezza definitiva: Barack Obama sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti.
Che dire? Molto e' stato detto, molto ancora si dirà. Gasparri pare si sia gia' espresso. La sensazione che ho avuto da qui è che questa vittoria era nell'aria, come il profumo della legna in autunno e quello dei fiori in primavera. Non posso certo dire di avere il polso della nazione (ho messo piede in appena due stati su 50 dell'Unione e per giunta stati storicamente "blu', ovvero democratici), ma a giudicare dal numero degli adesivi antiguerra attaccati vicino ai semafori, dalla sofferenza unita al desiderio di cambiamento espresso da tutte le persone con cui ho parlato, l'impressione era davvero di trovarsi di fronte ad un fenomeno "naturale": un invevitabile, inesorabile cambiamento di stagione.
Ieri sera non ho saputo trattenermi di fronte alle immagini dei "neri" festanti ad Harlem, davanti alle lacrime delle vecchiette afroamericane, molte delle quali da piccole non potevano neanche frequentare le stesse scuole dei bianchi. Quando la coloratissima, nuova "first family" e' salita sul palco di Chicago a salutare una folla sterminata, con le urla e le manifestazioni di gioia salivano al cielo, sembrava quasi di assistere alla più mielosa delle pubblicità di Benetton.
Esiste un'America che è impossibile non odiare: quella dell'imperialismo, della Baia dei Porci, del finanziamento ai Contras, dell'inutile massacro iracheno e di una serie lunghissima di porcate internazionali. E' la nazione dove ogni cittadino consuma più risorse naturali di cinque cinesi o dieci indiani messi assieme, dove trentotto milioni di persone non hanno l'assistenza sanitaria e una persona su cento si trova in prigione, come neanche a Cuba e in Iran. E' la presunta civiltà superiore che ha imposto al mondo intero il suo modello economico, con il titolo di Max Weber come etichetta: L'etica protestante e lo spirito del capitalismo. Salvo scoprire che l'etica protestante non vale per l'establishment di Wall Street, la razza predatrice al di sopra di tutte le regole. Ma e' anche il paese che possiede una carica vitale sconosciuta dalla maggior parte delle nazioni del mondo. Dove in maniera assolutamente inedita rispetto a gran parte dell'Europa e soprattutto alla stantia "gerontocrazia" (e "mignottocrazia", concedo) italiana, un giovanotto che e' nato appena nove anni prima di noi e che sembrava il fratello maggiore di Arnold è salito all'ufficio più elevato del paese.
Questa odiosa nazione ha mandato alla Casa Bianca il nipote di un capraio africano, la cui nonna paterna vive in un villaggio del Kenya e il fratellastro in una baraccopoli di Nairobi. In mezzo alla tempesta, nell'ora più buia, mentre le classi dirigenti del mondo intero brancolano alla ricerca di una soluzione alla grande crisi, gli Stati Uniti hanno avuto lo scatto decisivo, il coraggio di uno strappo inaudito: generazionale, culturale, etnico. Allora si scopre di nuovo l'America che ci è essenziale: l'America che non si può non amare.

lunedì 3 novembre 2008

- Cenone di Natale -




Io ci riprovo,


chiunque voglia partecipare alla "CENA" si rivolga a me:

3476204937


Mele propone martedì 23 dicembre, e voi?

comunicatemi al più presto le vostre idèe .



PS. la mia barca


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sabato 1 novembre 2008

sono soddisfatto!

sono soddisfatto della risposta di vincenzo e dei commenti correlati.
ma vedo anche, come supponevo, che non eravamo molto distanti.
ripeto: sono contrario ai tagli vs università. sono anche d'accordo (difficile non esserlo) con calamandrei (ah quanto ci sarebbe bisogno di uomini di quella fatta).
il fatto che si taglino soldi all'istruzione mentre si mantengano o aumentino alla difesa è vero... ma faccio lo stesso esempio della lettera precedente, parallelo italia-svezia: un paese che aumenta i finanziamenti all'istruzione decurtandone (se ne ha ancora) alla difesa non è l'Italia. non voglio dire non lo sarà. ma semplicemente che non lo è.
altrettanto vero è che si sono mantenuti in vita enti parastatali (iri e derivati); associazioni e fondazioni che non avevano interesse neppure nel momento in cui (1920,1930...) sono state costituite e fondate; società private o mezze private (fiat 1981, alitalia 2008) che invece secondo me non andavano curate. andavano seppellite. e velocemente.
emblematico il caso fiat 1981. ve lo ricordo perchè sicuramente lo conoscete già, ma io lo riassumo per come è andata, davvero, sempre secondo me:
l'azienda è in crisi.
il mercato non tira (chissà perchè?)
arrivano le mobilità, la cassaintegrazione, i licenziamenti.
i lavoratori scioperano per 40 giorni! dico 40 giorni (che tempi!)
l'azienda tiene duro.
i lavoratori tentennano (e che cazzo! 40 giorni!)
tavolo delle trattative azienda-sindacati.
il governo fa sapere attraverso i soliti giornali asserviti che la fiat non è una semplice azienda privata (ci mancava che ce lo ricordassero) ma è pomposamente un polmone di lavoro per migliaia di italiani.
il governo tutela l'azienda.
l'azienda, a partita finita, conclude il suo lavoro: manda a casa non so quanta gente. molte (quasi tutte, perchè avevano anche la lista) delle quali erano al picchetto fuori dal cancellone di mirafiori.
al telegiornale si cambia pagina (e magari si chiacchera del gol annullato a turone e della juventus che si piglia un altro scudetto)
e la fiat? che fa la fiat?
continua a vendere le proprie auto.
quali auto?
la duna, la arna, la ritmo cabrio...
ah, e quanto costano?
beh, costano parecchio.
si, ma quanto?
eh, più o meno quanto le succedanee francesi, tedesche...
ma come? le altre sono migliori!
EH, MA LA FIAT E' UN POLMONE DI LAVORO PER MIGLIAIA DI ITALIANI.
ecco. questo per dire che lo stato, il nostro stato è quello che se ne sbatte alla grande delle questioni serie: istruzione, sanità, pensioni, equo tasse, sicurezza sul lavoro.
il nostro stato, vigliaccamente, cura, rimedia, tampona i problemi della fiat. che lo ripeto, se falliva nel 1981 ce l'eravamo già levata dalle palle.
il nostro stato, vigliaccamente, si accapiglia per le questioni serie di istruzione, lavoro, pensioni, sanità esclusivamente dentro la cabina elettorale (era buona la canzone di bennato "eccoli i prestigiatori")
il nostro stato, vigliaccamente, esprime il proprio sdegno per le tragedie, il proprio cordoglio per le loro vittime e subito dopo apre un c/c alla televisione dove noi possiamo tranquillamente versare un euro o trovare un modo noi per aiutare gli sventurati.
il nostro stato, vigliaccamente, non riesce a dire un solo no a chi ci muove i fili dall'estero nel nome delle guerre preventive, dei ritorni alla democrazia (era buona la canzone di bennato "arrivano i buoni").
il nostro stato dice ni. sempre ni. solo ni. dal 1964 in poi. se non da prima.
e su questo spero siate d'accordo con me.