sabato 8 marzo 2008

Nick Stellino's Family Kitchen


La trovata assolutamente geniale di Paolo sulla pillola di Matrix, mi offre il destro per offrirvi un altro post con una serie di argomenti che stavo meditando da un certo tempo. In continuità con le mie riflessioni italoamericane, che hanno avuto un discreto successo di pubblico (tre persone le dovrebbero aver lette). Del resto è sabato, sono solo in casa e fuori c'è una tempesta – nel senso tecnico del termine: che altro potrei fare? Se mi erano venute a trovare le bimbe del blog, qualche idea l'avrei potuta proporre, ma così...
Bene, cominciamo. Vi avverto subito però che questa volta la riflessione sarà un po' più complessa. Del resto, nessuno è obbligato a leggere e soprattutto nessuno è obbligato a leggere tutto, come dice pure Pennac nella "tavola dei diritti del lettore".
Intorno all'ora di pranzo, non è difficile accendere la televisione e imbattersi in trasmissioni culinarie, in Italia come credo nel resto del mondo dotato di televisione. La differenza tra l'Italia e gli Stati Uniti, voi penserete, è solo nella tipologia di cucine e nelle ricette che vengono offerte. Sbagliato. In realtà la maggioranza dei programmi di cucina che si vedono sulle maggiori emittenti della costa est - o perlomeno quelli che mi sembrano i migliori e i più seguiti – sono italoamericani. Due di questi in particolare hanno colpito la mia immaginazione (oltre al mio palato): Lidia's Italy e, soprattutto, il mitico Nick Stellino. Ora, la caratteristica di questo simpatico personaggio, bravo sia come cuoco che come attore, è quella di mettere in scena le sue prelibate ricette in maniera in maniera affatto teatrale. Il personaggio che mette abilmente sulla scena impersona in maniera mirabile il pacioccone, il piacione, che gesticola e parla con le mani anche quando non sarebbe necessario, e, quando la pietanza è finalmente pronta e fumante, la gusta e la annusa con grande libidine, congedandosi dagli spettatori con un rumoroso arrivederci spalancato a quattro mani. Potete farvi un'idea anche voi direttamente (www.nickstellino.com). Stellino si dà da fare per offrirci quello che potremmo chiamare un tradizionale "stereotipo" di italiano.
Un po' meno teatrale è Lidia– "America's most favourite chef". In compenso è la protagonista di una trasmissione più complessa, non esclusivamente di ricette (www.lidiasitaly.com). Lidia non recita ma alterna le sue meravigliose ricette con immagini struggenti dell'Italia da cartolina (la sicilia, la costiera amalifitana, la maremma toscana, la trattoria di trastevere con i tavoli fuori e il chitarrista), accompagnate da adeguate sfondo musicale mandolineggiante, immagini di tavolate familiari contadine. Anche lei ci offre uno stereotipo – sia pure di qualità, va detto – dell'Italia.
Ora, consentitemi una breve digressione. Che cos'è uno stereotipo?
Esso si fonda su di una funzione non necessariamente negativa, quanto piuttosto inevitabile della nostra percezione: la "tipizzazione". Noi pensiamo, vediamo e conosciamo per mezzo di "tipi": è una funzione fondamentale della conoscenza, che si basa sulla percezione di dati essenziali e sulla loro generalizzazione ad una categoria generale di fenomeni. Il problema dello "stereotipo" che cade nel pregiudizio e nel razzismo nasce piuttosto dall'irrigidimento di questa facoltà generalizzante. "Stereos" in greco infatti significa "duro", "rigido". Quello che c'è di deteriore nello stereotipo è dunque la sua fissazione eccessiva, ovvero il suo non rimettersi in discussione di fronte ad esperienze che lo dovrebbero fare evolvere e mutare.

L'Italia vista attraverso le lenti di Lidia e Nick dunque non è assolutamente falsa: è solo un bozzetto, un acquarello di scarsa qualità, che tuttavia ritrae un soggetto e dei caratteri esistenti. E tuttavia, di fronte a questo stereotipo, riesce difficile liberarsi dalla sottile ma pervicace sensazione che, in fondo in fondo, colga l'essenziale. Quello che l'Italia ha da dire – ancora oggi, nell'epoca globale – al resto del mondo.
L'ultimo rapporto del Censis ha infatto descritto la società italiana come una "mucillagine sociale", una società decomposta, rarefatta, fatta anche di isole di eccellenza (industriale, produttiva, educativa), che tuttavia non riescono a collegarsi, a fare sistema, a creare un paese degno di questo nome. Una prospettiva ben diversa di quella dei nostri amici italoamericani ci offre tuttavia un quadro analogo, fatto di improvvisazione e approssimazione: si tratta ancora una volta di un "bozzetto".
Non so se chi ha parlato del destino dell'italia come quello di "uno splendido cadavere calpestato da milioni di turisti" abbia effettivamente offerto solo una macabra esagerazione. A me sembra se non proprio un destino, qualcosa che ci sta drammaticamente e quotidianamente vicino.
Una scrittrice inglese ha detto che i problemi dell'Italia si possono riassumere in tre sue caratteristiche principali, che non sono di per sè singolarmente negative, al contrario sono la ragione stessa della sua fortuna del mondo: "troppo sole, troppa storia, troppa politica". Troppo sole: il sole è bello – a chi lo dite -, ma purtroppo impigrisce, rende statici e disponibili ad eccettare le cose come stanno, perché ci sembrano le migliori possibili. Troppa storia: l'Italia è una terra di rovine, meravigliose e ammiratissime. Le rovine sono la sopravvivenza del passato nel presente, la sua permanenza inesorabile. Possono contenere un monito liberatorio (l'utopia del passato che interroga ancora il presente) ma uno altrettanto depressivo: rappresentano la vanità di ogni sforzo umano, testimoniando che tutto muore, tutto è caduco, destino immutato nonostante i nostri sforzi e le nostre azioni.
Troppa politica, infine. Non politica in senso alto, come elaborazione progettuale del destino collettivo, ma la politica delle "piccole patrie" ": rivalità tra regioni, città, comuni, quartieri, rioni, condomini, pianerottoli, famiglie. "Un italiano, un partito politico; due italiani, due partiti politici; tre italiani, tre partiti politici", recita ancora un altro celebre stereotipo.

Che dire a conclusione di tutto questo? Che dobbiamo rassegnarci a coincidere con ogni forma di stereotipo e generalizzazione, dalla più raffinata alla più rozza e banale, in obbedienza ad un'altra arte autenticamente e scafatamente italiana? Naturalmente no. Come individui e come italiani siamo creature storiche e la storia, come ci è stato insegnato, si può cambiare, anche se non si può prescindere dalle condizioni in cui ci si trova ad operare. Occorre tenerlo ben presente, soprattutto adesso, in periodo elettorale. "La storia siamo noi", come dice De Gregori: non solo una volta tanto, ma ogni giorno, nel difficile compito di incrociare storia e quotidianità.

6 commenti:

Anto ha detto...

sto per piangere.....

matte ha detto...

Vince, un consiglio, quando fuori c'è la tormenta guardati un bel pornazzo, non nick e lidia (ma è la mamma del giabo?) pornoattori mancati, così, invece di tante seghe mentali te ne fai una sola, materiale.....(eh eh eh eh).
matestereotipato

canino ha detto...

Speriamo entri presto la primavera e smetta di piove...........................

Tina Malvaldi ha detto...

non è geniale la mia trovata, è matrix a essere geniale. il primo eh - gli altri manco li ho visti, dopo un film così non si può che fare peggio --> insegna cose, insegna a non fermarsi mai, ad agire e reagire. Il mondo non si cambia coi proclami, o con analisi profonde, si cambia facendosi il mazzo tutti i santi giorni, centimetro dopo centimetro senza mollare mai. nel proprio piccolo mondo quotidiano.
ma che vi sto a di? qui altro che pillola azzurra, qua tonnellate di prosciutto sull'occhi...

Valeria ha detto...

Tornando ai due cuochi italoamericani, sono andata a vedermi i rispettivi siti. Quello di Nick mi pare un po artefatto, proprio il classico stereotipo americano di italiano, quello di lidia più "autentico". Anche le foto dei suoi familiari in italia non sono artefatte.
Comunque a me pare che si sia fatta una barcata di soldi, con quei bei 4 ristoranti!!!!
I piatti poi sono presentati proprio bene, e sembrerebbero davvero buoni. (mi piace anche il fatto che le pietanze mantengono il nome italiano!)

vinmele ha detto...

Si, Lidia è diventata veramente un "nome" della ristorazione di qualità, ed è effettivamente brava, da come cucina in tv.

PS
E non ha niente a che fare con la mamma del Giabo