venerdì 21 novembre 2008

Gerontocrazia


Meritocrazia: una parola che non ho mai amato e che continua a suscitarmi scetticismo. Mi è sempre sembrato un modo ipocrita di considerare eguali situazioni e persone che sono in realtà diseguali: il figlio di laureati che ha la casa piena di libri e quello che non ha nemmeno la casa; il pupillo della famiglia bene "allevato da cinque nurses di cinque paesi diversi" (Alberto Sordi, "I nuovi mostri") e quello cresciuto a pane e frittata dalla nonna. Come fanno ad avere le stesse possibilità di riuscire nella vita? Come si fa a considerarli corridori in una medesima pista agli stessi blocchi di partenza?
Eppure la realtà italiana riesce ancora ad offrirci qualcosa di peggio: la gerontocrazia. Che non è, badate bene, la saggezza al potere, come poteva essere il caso delle tribù indiane, in cui ai vecchi si chiedeva consiglio e si portava rispetto, perché molto sapevano e avevano vissuto. È qualcosa di diverso. È come se – per rimanere al paragone con la tribù indiana – i giovani fossero costretti a rimanere nel recinto a pulire il culo alle vacche, mentre i vecchi vanno sul campo di battaglia a mercanteggiare i posti di potere che poi, forse, quando i giovani saranno diventati maturi (leggi vecchi anche loro), potranno occupare.
C'è una famosa vignetta di Altan in cui un suo personaggio dice: "mi vengono in mente pensieri che non condivido". Che sia forse il caso della tanto odiata (perlomeno da me) "meritocrazia"? Ai commenti l'ardua sentenza.
Intanto vi sottopongo questo intervento sul tema di Giancarlo Bosetti, che personalmente mi tocca anche da vicino.



Un ultraottantenne come soluzione, sofferta ma infine accettata, di un problema politico non è in Italia una novità. Sergio Zavoli, classe 1923, designato presidente della Commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai, non ha l´aria di un caso isolato: presidenti della Repubblica e primi ministri, con un piccolo scarto di anni, sono in linea con la constatazione. Ciampi ha lasciato a 86 anni, Napolitano ha iniziato a 81, Prodi ha lasciato a 69 e Berlusconi ha compiuto i 72. È ovvio che la qualità della prestazione non ha relazioni dirette con l´età, così come nulla c´è da eccepire sulle doti professionali e sull´equilibrio del grande giornalista Zavoli (dal «processo alla tappa» alla presidenza Rai), che andrà ora a occupare un ruolo che ha il suo peso spropositato nei riti della politica italiana.
Il moto di scoramento è però difficile da trattenere di fronte alla evidenza di quel che è stato scritto in un celebre articolo di Gianluca Violante sul sito lavoce.info già due anni fa. Fatti due conti, l´autore concludeva: in Italia, quando la quasi totalità delle carriere lavorative si esaurisce, in politica si raggiunge l´apice. Come mai? Legittima, ma non dirimente, la preoccupazione che politici troppo vecchi non siano i migliori interpreti dell´innovazione, né i più adatti a captare esigenze nuove.
Più influente, sulla pulsione depressiva, la considerazione che l´anzianità del mondo politico è lo specchio dei vizi del mondo del lavoro: bassa mobilità sociale, avanzamento di carriera per anzianità e non per merito.
La differenza di età tra il presidente del Consiglio italiano e la media dei colleghi europei è di venti anni. L´elezione di Obama, 47 anni, ha soltanto incrementato i sintomi di abbattimento che ci attanagliavano già prima di lui e di Zavoli. È vero che nel lavoro a 65 anni scatta per lo più la regola della pensione e in politica no, ma è anche vero che i vizi che prolungano oltre le medie internazionali la percentuale dei vegliardi sono affini a quelli che mantengono in posizioni molto redditizie dirigenti e notabili di vario genere che non producono risultati proporzionati ai guadagni. Varie indagini statistiche mostrano che solo il 15 per cento della retribuzione di un dirigente d´azienda è collegata alla sua prestazione, il resto «è carriera», vale a dire, anzianità, buone relazioni, capacità di navigare con astuzia nella scia di un altro dirigente con anzianità, buone relazioni, capacità di navigare? Il rapporto col prodotto viene ultimo, come nel caso delle liquidazioni dei manager di Alitalia, Ferrovie dello Stato, in generale delle grandi aziende di servizio, anzi non viene mai, come per gli stipendi dei parlamentari la cui produttività non viene comparata con quella dei colleghi nel mondo (i congressmen guadagnano 36mila euro in meno all´anno).
Il libro recente di Roger Abravanel (Meritocrazia, Garzanti) ha dato ordine sistematico al tema. L´Italia è fuori dal circolo virtuoso del merito. Seguite la freccia benigna: tutti accettano la concorrenza, si fanno crescere le opportunità, si traggono benefici con consumi a basso costo, si rafforza la fiducia nel merito, cresce l´impegno a eccellere, i migliori salgono nella scala sociale, si crea leadership sicura di sé che promuove un contesto concorrenziale e nuova fiducia nel merito. Al contrario noi italiani siamo nel circolo vizioso del demerito. Seguite la freccia maligna: i giovani non si impegnano, si fa carriera per conoscenza e anzianità, si crea leadership anziana che opera per mantenere status, e si promuove così sfiducia nel merito. La recente indagine Luiss sulla classe dirigente, guidata da Carlo Carboni, aveva aggiunto un bel mattone all´edificio critico: la politica manda in parlamento sistematicamente figure di scarsa qualità e alta lealtà che tendono a mantenere lo status della leadership che li ha cooptati. Il merito resta fuori perché nel contesto politico italiano appare minaccioso: segreterie deboli, di sinistra, di destra e di centro, grazie a una legge elettorale costruita ad hoc, adottano schiere gregarie per non impensierire leader fragili. E i «leali» in esubero vengono sistemati in aziende regionali, comunali e simili, dovunque possibile, con un progressivo abbassamento della qualità manageriale.
Queste tendenze fanno dell´Italia un paese fortemente inegualitario in partenza (come l´America e l´Inghilterra) nel quale la bassa mobilità (come in Francia e Germania, che hanno però una più bassa ineguaglianza) tende a cronicizzare le distanze sociali (mentre in America la elevata mobilità rinnova un po´ di più le élite). Il risultato è la condizione in cui siamo. La nomina di un anziano fa risuonare sempre la stessa campana dal suono vellutato. Non stupisce che la reazione sia più un triste scuotimento di spalle che una rabbiosa reazione. Il circuito perverso ha lavorato in profondità: è più facile mettersi nella scia di qualche potere (un manager, un boss politico, un anziano) che tentare di aprire una nuova pista nella boscaglia a colpi di machete diventando eroi di se stessi.
La via d´uscita per i più coraggiosi è quella di andarsene. Un dolorosa classifica, che si aggiunge alle altre è quella prodotta dal think-tank Vision (Bocci, Maletta, Realino, Grillo): un formidabile indicatore delle prospettive di un paese e del suo sistema universitario è il numero di studenti stranieri che riceve. Gli Stati Uniti raccolgono circa un quarto dei 2 milioni e 700mila studenti che vanno all´estero, l´11 e il 10 per cento vanno in Inghilterra e Germania, la Francia il 9. L´Italia è l´unico paese sviluppato con un saldo negativo: sono 4mila in più quelli che se ne vanno. Che cosa significa? Che la via d´uscita dal circuito del demerito sempre più nostri giovani connazionali la vanno a cercare fuori. Dentro, non c´è partita.
GIANCARLO BOSETTI, da La Repubblica

4 commenti:

Naji ha detto...

Mi piacerebbe un mondo dove non ci fosse tutta questa rincorsa del merito fra i giovani e dove i vecchi stessero in due ruoli precisi:
- scelta dei giovani il cui impegno sia da valorizzare;
- amministrazione e oculata difesa dei codici.
Comunque è un problema grosso che ne tira in ballo tanti, il primo che mi viene in mente è quello della retribuzione:
- per me un operaio deve guadagnare come un professore e un ricercatore;
- un anziano deve percepire dei premi in busta ogni volta che un giovane che ha scelto ottiene dei successi lavorativi.

matte ha detto...

Ir mì 'ommento è: boia vanto scrivete, 'un ho nemmeno iniziato a legge' perchè m'è venuta l'angoscia. E poi minchia, ormai sembra tribuna elettorale (lo so, l'ho già scritto tempo fa) ma l'unìo post ganzo che s'è visto negli ultimi tempi è quello della tù multa Vincè, almeno è vita "nostra" vissuta da condividere, questo per me 'un cià niente a che fà con le cene di crasse e con noi.
mateapolìtio

Naji ha detto...

...mica gli fanno le multe tutti i giorni !!

matte ha detto...

Non si può mai sapere.............
mategufo